Contesa sulle armi di Hezbollah

by Sergio Segio | 29 Settembre 2012 7:26

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Gli abitanti della zona di Qleiaat arricciano il naso. Da queste parti, tra le alture del nord-est del Libano al confine con la Siria, un aeroporto internazionale è un’idea malsana. Certo, c’è già  una pista usata dagli elicotteri dell’esercito, che si potrebbe allargare rendendola agibile per gli aerei civili. Nel 1968 vi atterrarono i Mirage comprati dall’aviazione militare libanese e per qualche tempo, negli anni ’80, anche i Boeing 747. Poi l’aeroporto è stato chiuso all’uso civile e di questa striscia di asfalto malandato che, qualcuno si ostina a chiamare pista di decollo e atterraggio, non si è più parlato per anni.
Ora, all’improvviso la sua riapertura torna di attualità . L’idea piace ai leader sunniti di Tripoli e all’ex premier Saad Hariri, capo traballante dello schieramento politico filo occidentale «14 marzo». Per sottrarsi, spiegano, alla dipendenza dall’aeroporto di Beirut di fatto sotto il controllo dell’avversario, il movimento sciita Hezbollah – che ogni volta che è scoppiata una grave crisi politica chiude lo scalo internazionale. «Abbiamo bisogno di questo aeroporto, ora più che mai», dice Mouin Marhabi, uno dei parlamentari dell’opposizione più impegnati contro la maggioranza formata dallo schieramento «8 marzo».
I dubbi sull’effettiva riapertura al traffico civile della pista di Qleiaat rimangono forti. E’ certo invece che sull’onda della guerra civile in Siria le forze libanesi filo occidentali cominciano a ingranare le marce alte, e tornano a porre la questione della forza politica e soprattutto militare di Hezbollah. Il movimento sciita è alleato di Bashar Assad e gli avversari sperano in un suo indebolimento, parallelo a quello del presidente siriano, per chiudere una partita ormai quasi decennale: il controllo dell’arsenale della resistenza.
La questione delle armi, insieme a quella del Tribunale Internazionale che indaga sull’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri, ha incendiato il Libano portandolo vicino a una nuova guerra civile. Continua è l’ingerenza degli Stati Uniti che, facendosi portatori anche delle richieste di Israele, chiedono il completamento del disarmo di tutte le milizie in Libano. Hezbollah però considera le sue armi – inclusi migliaia di razzi e missili – parte della difesa del Libano contro eventuali offensive militari israeliane e non ha alcuna intenzione di consegnarle all’esercito, senza alcuna garanzia, così come vorrebbe il fronte «14 marzo». In questo quadro di rinnovata polemica, si è inserita la proposta fatta la scorsa settimana dal presidente Michel Sleiman, un ex capo di stato maggiore (non ostile al movimento sciita), per la definizione di una «strategia di difesa nazionale» che sarà  discussa il 14 novembre da tutte le parti che partecipano al «Dialogo nazionale».
La proposta prevede che la guerriglia di Hezbollah mantenga il controllo delle sue armi; il loro utilizzo per la «difesa» del Libano tuttavia spetterà  al capo di stato maggiore delle forze armate. A prima vista il passo fatto da Sleiman è in linea con la costruzione di un’unica forza di difesa e di un unico comando militare. Ma le cose non stanno solo in questo modo. La proposta è stata subito accolta con favore, sebbene a bassa voce, dal «14 marzo» che insiste per togliere a Hezbollah l’autonomia decisionale sulle armi della resistenza e sulla risposta a possibili operazioni militari israeliane. L’ex premier Fuad Siniora, capo del gruppo parlamentare del Partito «Mustaqbal» (il principale avversario di Hezbollah), ha subito colto l’occasione per denunciare la presenza in Libano di unità  di élite dei pasdaran iraniani, ammessa qualche giorno fa da Mohammed Ali Jaafari, comandante della Guardia della Rivoluzione islamica. Nell’eventualità  di una guerra tra Israele e Iran – a causa della minaccia di attacco aereo di Tel Aviv alle centrali nucleari iraniane – Jaafari ha voluto far capire che le armi degli alleati Hezbollah potrebbero essere usate per rispondere al raid israeliano.
Un parlare troppo esplicito che non deve essere piaciuto molto ai vertici di Hezbollah che sino ad oggi, pur non escludendo questa possibilità , hanno scelto di mantenere una posizione ambigua. La scorsa settimana, incontrando a Beirut una delegazione italiana, il comandante militare di Hezbollah nel Libano del sud, lo sceicco Nabil Kouk, ha evitato di rispondere a una domanda sulle scelte che farà  il suo movimento di fronte ad un raid israeliano contro l’Iran.
Hezbollah darà  la sua risposta alla proposta di Sleiman solo il 14 novembre. Nel frattempo però il fronte «8 marzo» è intervenuto sui progetti riguardanti l’aeroporto di Qleiaat. L’ex deputato Wajih Barini ha accusato gli avversari di «voler trasformare lo scalo in una base militare a disposizione dei ribelli armati dell’Els», l’Esercito libero che combattono l’esercito regolare siriano. Una possibilità  piuttosto concreta vista la vicinanza, appena 3 km, della pista dal confine siriano e che, secondo alcuni, sarebbe considerata con attenzione anche dagli Usa e dalla Francia.

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