Confindustria gioca la carta contratti “Ora congeliamo tutti i rinnovi”
ROMA – Congelare le trattative per i rinnovi contrattuali. È questa la linea della Confindustria emersa ieri durante la riunione della Giunta dell’associazione di Viale dell’Astronomia. Compatti, gli industriali puntano di fatto al blocco dei rinnovi (sono coinvolti almeno quattro milioni di lavoratori) in attesa di raggiungere in tempi brevi («giorni», ha addirittura detto ieri il presidente confindustriale, Giorgio Squinzi) l’accordo con Cgil, Cisl e Uil sulla competitività . È il patto che ha chiesto alle parti sociali il premier Mario Monti per ridurre “lo spread produttività ” che agisce come una zavorra sulla crescita della nostra economia ancora in piena recessione quest’anno (il Pil scenderà del 2,4 per cento, secondo le stime del governo che coincidono con quelle del Centro studi della Confindustria) e pure il prossimo (-0,2 per cento).
L’idea degli industriali è piuttosto semplice, ma non è detto che incontri il consenso anche dei sindacati: definire prima l’accordo quadro sulla produttività e poi, con le nuove regole, riaprire i negoziati per i contratti di categoria, dai chimici agli alimentaristi fino ai metalmeccanici. «Non avrebbe senso fare il contrario», dicono gli uomini di Squinzi. Il cui obiettivo è ora quello di imprimere un’accelerazione al confronto. Tanto che ieri sera il presidente di Confindustria ha incontrato la leader della Cgil Susanna Camusso, dopo che nei giorni scorsi aveva visto quello della Cisl Raffaele Bonanni.
Monti vorrebbe portare al prossimo vertice europeo del 19 ottobre almeno una bozza di intesa tra Confindustria e sindacati. L’esecutivo per ora non farà parte del tavolo negoziale. Al ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, infatti, è stato affidato il compito di limitarsi a coordinare le trattative. Resta il fatto, tuttavia, che, per quanto non esplicitamente, il premier Monti, negli incontri di Palazzo Chigi con cui ha avviato il confronto, ha delineato un ipotetico modello contrattuale nel quale si riduce lo spazio di qualsiasi forma di automatismo (come l’attuale Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato a livello europeo e depurato dai prezzi dell’energia) nelle dinamiche retributive per collegare gli incrementi salariali esclusivamente alla crescita della produttività . In sostanza gli aumenti verrebbero definiti nelle aziende e i contratti nazionali perderebbero l’attuale centralità . È un’ipotesi estrema che nemmeno Confindustria considera praticabile visto che per ora non più del 30% delle imprese svolge la contrattazione integrativa di secondo livello. Che cosa succederebbe nelle piccole imprese dove non c’è nemmeno la rappresentanza sindacale? Gli industriali stanno riprendendo dal cassetto una vecchia proposta avanzata agli inizi degli anni 90 dall’allora presidente Luigi Abete e dal suo vice Carlo Callieri: nelle imprese in cui si fa la contrattazione aziendale non si applica il contratto nazionale. Nei fatti è quello che ha fatto già la Fiat, uscendo dalla Confindustria e dai vincoli dell’accordo nazionale e sottoscrivendo con alcuni sindacati (non la Fiom-Cgil) una nuova intesa dell’auto sostitutiva del contratto nazionale.
Ma la partita è davvero complessa. Non è affatto scontato che Cgil, Cisl e Uil possano accettare una sospensione di fatto dei negoziati appena avviati, per quanto abbiamo già dovuto accettare il blocco dei contratti per circa 3,5 milioni di dipendenti pubblici imposto dal governo per contenere la spesa pubblica. E soprattutto non è scontato che possano superare, senza mai averla messa alla prova, l’intesa sulla contrattazione e la rappresentanza del 28 giugno del 2011 raggiunta unitariamente dopo la spaccatura avvenuta solo due anni prima. D’altra parte è difficile che Squinzi possa cercare una divisione tra i sindacati, dopo aver sempre contestato la linea delle intese separate. In più il governo non potrà continuare a fare da spettatore perché, per incentivare il salario di produttività , bisognerà cercare di ridurre il cuneo fiscale (lo scarto tra il costo del lavoro e la retribuzione netta che va in tasca ai lavoratori) attraverso gli sgravi fiscali. Ci sono le risorse? Il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, non l’ha escluso. La lotta allo “spread produttività ” è diventata la nuova priorità .
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