Cina, Bo Xilai espulso dal partito “Ora rischia la pena di morte”
PECHINO — Potere, soldi e sesso. Sconfitto da comuni tentazioni, il superuomo che voleva riportare al comunismo di Mao la Cina capitalista rischia la pena di morte. Arrestato in aprile, l’ex leader conservatore Bo Xilai è stato espulso dal partito e verrà dunque processato da un tribunale del popolo. L’ufficio politico del Comitato centrale ha fissato anche la data del 18° Congresso, chiamato a rinnovare la leadership per i prossimi 10 anni. Comincerà l’8 novembre, 2 giorni dopo le elezioni presidenziali negli Usa, con un ritardo senza precedenti rispetto alla tradizione dei congressi d’ottobre.
La concomitanza del doppio annuncio ha confermato la relazione politica tra il passaggio del potere e il destino di Bo Xilai, detenuto da 6 mesi in un luogo segreto e destinato ora a finire in carcere, nonché la guerra intestina che divide una nomenclatura rossa in crisi. Pechino poteva scegliere di sottoporre l’ex segretario di Chongqing ad un procedimento disciplinare interno. Tra conservatori nazionalisti e riformisti decisi ad aprire la Cina alle influenze esterne, l’accordo però è saltato.
Il “caso Bo” cessa così di essere un problema di partito, il Congresso slitta ma non dipende più dalla sentenza e toccherà ai giudici ordinari, funzionari comunisti, punire colui che già viene dipinto come il simbolo della corruzione che mina la seconda economia del mondo. Una formalità , ma pure una scelta obbligata, vista la gravità delle accuse contro il leader che, grazie al sostegno popolare, si apprestava all’ascesa tra i 9 intoccabili del Comitato permanente del Politburo.
Per i cinesi l’espulsione di Bo Xilai, alla vigilia dell’anniversario della Rivoluzione, è stata uno shock. L’agenzia di Stato Xinhua ha spiegato che è imputato di «corruzione massiccia, abuso di potere e relazioni sessuali improprie con numerose donne». Il “principe rosso” avrebbe preteso decine di milioni di tangenti sia come sindaco di Dalian, che come ministro al Commercio, che come leader di Liaoning e di Chongqing, costruendo la sua carriera sulla corruzione. Per 20 anni avrebbe inoltre abusato dei suoi poteri, «favorendo gli affari degli amici e autorizzando pratiche illegali» contro gli avversari. Fino all’accusa sessuale, la più sorprendente. Il partito non è entrato nei dettagli, ma il riferimento esplicito conferma le indiscrezioni di giugno. Bo Xilai, grazie alla complicità di ricchi uomini d’affari, sarebbe stato al centro di un vasto giro di prostituzione d’alto bordo. Le concubine venivano pagate con denaro estorto e le tariffe sarebbero da record: fino a 1,2 milioni di euro a notte. Coinvolte nello scandalo, attrici, modelle e stelle della tivù. Il più autorevole quotidiano di Hong Kong ha fatto il nome anche di Zhang Ziyi, star del cinema internazionale legata al regista Zhang Yimou. Accusata di aver incassato 110 milioni di dollari in 4 anni per il ruolo di «concubina di partito », ha risposto con una raffica di denunce.
Prima ancora del verdetto dei giudici, è chiaro dunque che il partito ha scelto di distruggere pubblicamente Bo Xilai «per dimostrare ancora una volta la determinazione nella lotta contro la corruzione». È il punto che, pur di salvare la stabilità del potere cinese, può costare la vita al profeta della nostalgia rivoluzionaria.
Secondo il Politburo il suo comportamento «ha avuto gravi conseguenze e ha arrecato enormi danni alla reputazione del partito e dello Stato, con ripercussioni estremamente negative in Cina e all’estero, provocando pesanti danni alla causa del partito e del popolo». Tutta colpa del leader che aveva osato “americanizzare” la politica nazionale, sfruttando look, televisioni e competizione tra i big. Responsabilità sempre coperte dallo stesso potere, ma esplose in febbraio con il sempre più misterioso delitto Heywood, il cittadino britannico trovato morto in un hotel di Chongqing. Gu Kailai, moglie di Bo Xilai, è stata condannata a morte (pena tramutata in ergastolo) con l’accusa di averlo avvelenato. Il collaborazionista Wang Lijun, ex sceriffo dello stesso Bo, lunedì è stato invece “graziato” e condannato a 15 anni di prigione. Il suo “capo” risponderà invece, ufficialmente, di aver tentato di coprire il delitto a fini di carriera, arrivando a picchiare il superpo-liziotto, poi rifugiato nel consolato Usa di Chengdu.
L’ultimo capitolo resta da scrivere, ma l’epilogo ormai è noto. Da ieri l’attacco alla Città Proibita appare sventato e la liturgia del Congresso può avere inizio. Xi Jinping, riemerso da 2 settimane di buio e di sospetti, può prepararsi a raccogliere per 10 anni l’eredità di Hu Jintao.
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