by Sergio Segio | 26 Settembre 2012 8:44
Un paio di anticipazioni sono già in rete, attivisti del movimento che incalzano un giornalista Rai a Parma e una giornalista Mediaset a Roma. L’ideona corre sul blog e su twitter – #intervistiamoli – dove però qualcuno ha subito notato il punto debole dell’iniziativa. «Vorremmo sapere qualche cosa di più su chi ci informa. Una questione di reciprocità . Il perché talvolta non riportano i fatti, se sono costretti o se è una loro attitudine. Vorremmo sapere quali direttive ricevono da parte dei loro giornali o telegiornali. Perché fanno le domande che fanno (talvolta tendenziose per dimostrare una tesi a priori)», scrive Grillo. Ma è proprio la reciprocità che zoppica. L’ex comico infatti è notoriamente poco disponibile a rispondere alle domande dei giornalisti e recentemente ha accettato di parlare solo con le televisioni straniere (una olandese e una danese, le ultime). Due interviste le ha date alla stampa italiana ma quattro mesi fa, a Gian Antonio Stella del Corriere della Sera e Marco Travaglio del Fatto quotidiano. Ancora più guardingo e il co-fondatore Gianroberto Casaleggio che interviste non ne dà affatto preferendo pubblicare lettere sul Corriere, lo stesso giornale scelto per un’altra missiva senza confronto dall'(ex) socio di Casaleggio, Enrico Sassoon.
Certo, non è solo reticenza ma anche accorta strategia comunicativa, di fronte alla quale fanno tristezza i tanti politici sorpresi a pagare le televisioni locali per essere intervistati (uno di quelli che ci è cascato è proprio il neo oppositore Giovanni Favia). Anzi, la prassi del cronista a gettone offre molti argomenti di riflessione critica sullo stato dell’informazione (almeno, ai non paganti), così come il conflitto di interessi dei grandi media è senz’altro un tema che il Movimento 5 stelle farà bene ad affrontare. Ma la caccia al giornalista?
Le domande, poi, bisogna saperle fare e magari anche imparare dalle brutte figure altrui. #intervistiamoli infatti ha un recente esempio negli Stati uniti che Grillo o non conosce o ha copiato. Caccia al giornalista è proprio lo slogan lanciato dal giovane attivista arci conservatore americano James O’Keefe, l’idolo dei Tea party e dei pundits destrorsi che con una telecamera e molti trucchi di montaggio è riuscito a piegare colossali istituzioni progressiste come Acorn e Planned Parenthood. È lui che adesso inventa un’imboscata al giorno ai giornalisti «della torre d’avorio», scelti perlopiù nei media di orientamento liberal. Tanto petulante da essersi meritato una citazione acida nella sceneggiatura di The Newsroom, la serie tv scritta da Aaron Sorkin. La campagna to catch a journalist si è rivelata però un fiasco, perché tutto quello che O’Keefe è riuscito a registrare (di nascosto), dopo una lunga serie di tentativi con cronisti del New York Times, dell’Huffington Post e professori della Columbia, è stata un’ammissione: è vero, qualche volta qualcuno invita le sue fonti al bar. Peggio ancora era riuscito a fare nell’estate di due anni fa quando architettò uno «scherzetto alla Cnn», cercando di sedurre con mezzi un po’ squallidi (champagne e foto porno) la reporter Abbie Boudreau. Fu rifiutato e pure scoperto. Per caso qui da noi c’è qualcuno che vuole imitarlo?
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