Bocciato il piano dell’Ilva “Investimenti inadeguati” Torna l’incubo chiusura
TARANTO – Niet su tutta la linea. Resta acceso il semaforo rosso per l’Ilva, il colosso siderurgico di Taranto. I custodi giudiziari hanno bocciato il piano di investimenti da 400 milioni di euro presentato in procura dalla proprietà . Un crono-programma di interventi nell’area a caldo dello stabilimento, formalmente sotto sequestro dallo scorso 26 luglio. Quegli impianti sono la fonte dell’inquinamento che fa ammalare e uccide i tarantini, dicono i periti. Ma anche i pubblici ministeri che da quasi due mesi tengono ai domiciliari Emilio Riva, l’anziano re dell’acciaio, e suo figlio Nicola. L’accusa è di disastro ambientale, per le emissioni inquinanti di sei reparti, tutti sotto chiave.
Sulla fabbrica da oltre undicimila operai spira una violenta burrasca giudiziaria, che il presidente di Ilva, l’ex prefetto Bruno Ferrante, sta tentando di arginare. Tre giorni fa proprio lui aveva presentato quel piano che doveva rivelarsi una ciambella di salvataggio. Sul piatto 400 milioni di euro per ammodernare l’area a caldo e ottenere la facoltà d’uso di quei reparti a fini produttivi.
Ma l’investimento milionario si è infranto sul muro eretto dai custodi, braccio tecnico della procura in questa delicata partita. Il secco no è contenuto nella relazione consegnata ieri pomeriggio al procuratore capo Franco Sebastio. «Gli interventi sono assolutamente inadeguati per fermare le emissioni inquinanti dagli impianti», sostengono i tre ingegneri. Per l’Ilva è una vera e propria batosta. Anche perché i custodi hanno rilanciato le loro soluzioni che prevedono lo spegnimento di due altiforni, un’acciaieria e quasi tutti i forni della cokeria.
Interventi che monetizzati valgono cifre a nove zeri. Un conto salatissimo che spinge il segretario nazionale della Uilm, il tarantino Rocco Palombella, a dire: «Ora i Riva potrebbero anche pensare di lasciare Taranto». E le brutte notizie per i magnati dell’acciaio non finiscono qui. Perché la procura dice «no» anche alla richiesta di facoltà d’uso, ancorché limitata, ai fini produttivi. Questo è uno dei nodi cruciali della strategia aziendale, arroccata su quanto dichiarato da Ferrante. «La fabbrica deve produrre per rendere sostenibili gli investimenti», va ripetendo a ogni occasione. L’istanza è costruita intorno ad una considerazione del Tribunale sulla «garanzia per la strategica capacità produttiva dell’azienda». Il punto è controverso. Per dirimerlo il caso Ilva tornerà sulla scrivania del gip Patrizia Todisco, che ha disposto il sequestro del 26 luglio. E poiché da allora nulla è cambiato, il verdetto, atteso per la prossima settimana, appare scontato.
Intanto nella capitale non si placa il durissimo scontro tra il Ministro dell’ambiente Corrado Clini e il leader dei Verdi Angelo Bonelli, con tanto di minaccia incrociata di querela. Il conflitto è sulla diffusione dei dati record di mortalità e di tumori registrati nei quartieri della città che vivono gomito a gomito con le ciminiere, pubblicati anche dalla rivista dell’associazione italiana di epidemiologia. In quei rioni si muore per tutte le cause dall’8 al 27% in più, mentre l’aumento di tumori maligni si attesta tra il 5 e il 42%, per le malattie cardiovascolari tra il 10 e il 28% e per le malattie respiratorie tra l’8 e il 64%.
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