Bengasi, la vendetta dei miliziani strage di poliziotti dopo la rivolta

by Sergio Segio | 23 Settembre 2012 7:56

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TRIPOLI — L’ultima rivolta di Bengasi, da sempre città  ribelle della Libia, è una sorpresa che nessuno aveva previsto. L’insurrezione della piazza contro le milizie islamiche, la liberazione della caserma dai terroristi di Ansar Al Sharia, è un punto di svolta in una Libia che torna a bruciare. Costringerà  il governo a fare presto, a riprendere in mano il controllo della sicurezza. Ma potrebbe anche essere l’avvio di una nuova fase di guerra civile con l’intervento di gruppi stile-Al Qaeda, pronti a portare nel paese autobomba e killer kamikaze.
Dopo aver sopportato per mesi che milizie islamiche e bande di trafficanti vari (armati) avessero conquistato un ruolo decisivo fra i vincitori della rivoluzione, venerdì sera migliaia di bengasini hanno dato l’assalto a due brigate: innanzitutto Ansar Al Sharia, sicuramente coinvolta nell’attacco al consolato Usa in cui è morto l’ambasciatore Stevens. E poi un’altra milizia islamista, “Rafallah Sahati”, dal nome di un combattente anti-Gheddafi morto all’inizio della rivoluzione del 17 febbraio. Per ore la capitale della Cirenaica è stata percorsa da notizie contraddittorie, almeno quattro le vittime degli scontri. È certo che i combattenti in stile talebano di Ansar hanno abbandonato la loro sede dopo che migliaia di giovani si erano presentati davanti alla loro caserma. Così come hanno lasciato il controllo dell’ospedale centrale Al Jalaa, che proteggevano e tenevano in ostaggio.
La sede di “Rafallah Sahati”, conquistata nella notte dalla folla dopo ore di assedio in cui sono morti 18 giovani, ieri mattina è ritornata invece nelle mani della milizia. È un gruppo filo-governativo, che assieme alla brigata “17 febbraio” e al gruppo “Libya Shield” «è riconosciuto a livello ufficiale, impegnato a garantire la sicurezza del paese», spiega il capo di stato maggiore Youssef Al Mangoush.
Nella Libia del dopo-Gheddafi, il governo di Tripoli non ha una forza e un potere proprio. Il controllo del paese, l’uso della forza è affidato a decine di milizie che si sono fatte avanti sulla scena a colpi di cannone, e che adesso vengono pagate dal governo centrale, con stipendi che per ogni miliziano arrivano anche a 1300 dinari (mentre il salario medio di un dipendente pubblico è di 4-500 dinari). Come sarà  possibile trasformarle in un esercito e in una polizia è un mistero.
Ma l’ondata di sangue, nella Libia che sembrava aver finalmente trovato una sua stabilità , non accenna a placarsi. Dopo l’assalto alle brigate di Bengasi, in un ospedale sono arrivati i corpi di alcuni agenti di polizia e militari dell’esercito uccisi con un colpo alla testa, le mani legate come se si fosse trattato di una esecuzione. Almeno sei vittime, fino a 11 secondo alcune fonti. Può essere un regolamento di conti fra miliziani rivali, ma potrebbe esserci anche lo zampino di ex gheddafiani, ancora presenti ovunque nel paese, soprattutto nella zona di Sirte dove secondo molti sventolano ancora le bandiere verdi del colonnello.
L’assalto ad Ansar Al Sharia è stato l’ultimo atto del secondo “venerdì di sangue”, la protesta per il film blasfemo su Maometto diffuso su YouTube e che da due settimane sta infiammando i paesi islamici. Ieri dal Pakistan è arrivata la proposta di una taglia da 100 mila dollari sulla testa dell’autore del film. Quasi una “fatwa”, lanciata da un ministro del governo pachistano. Ma in Libia è su Bengasi che si concentra tutta l’attenzione. I giornalisti e i fotografi libici raccontano che gli slogan erano «Non vogliamo Al Qaeda qui in Libia», «il sangue versato per la libertà  non deve essere disperso dai terroristi ». Per la prima volta in un paese islamico la folla si è mobilitata per attaccare un gruppo armato integralista, responsabile di attacchi e di operazioni terroristiche. Un gruppo che, secondo fonti occidentali a Tripoli, adesso si è spostato a Derna, verso il confine con l’Egitto, da dove sarà  pronto a mettere a segno attentati e colpi di mano violenti per non perdere terreno nella battaglia per il controllo della Libia. Una battaglia che minaccia di tornare ad essere violenta e devastante.

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