“Bene la svolta di Draghi ma va allentata l’austerity per rilanciare la crescita”

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CERNOBBIO — «La decisione di Draghi è provvidenziale ma non basta a risolvere la crisi. Bisogna procedere su più binari paralleli con identica urgenza: unione politica e fiscale, accentramento e organizzazione delle attribuzioni della stessa Bce, ma soprattutto crescita. È questo il punto più urgente ma quello su cui ci sono i maggiori ritardi. A tutt’oggi, malgrado decine di vertici e fiumi di denunce, per la crescita in Europa non è stato fatto nulla. Zero». Nouriel Roubini non è qui al workshop Ambrosetti con la funzione di Cassandra, ma rivendica realismo: «L’acquisto dei bond è solo una delle tante misure che devono essere intraprese. Il guaio è che non si è ancora cominciato: la road map verso la ripresa non è stata neanche tracciata. In questo incredibile vuoto la Bce si è dovuta assumere un ruolo di supplenza e agire».
Il problema è che qualsiasi misura di sviluppo impatta contro il blocco dei conti pubblici. Quali provvedimenti suggerisce?
«L’Europa è ora che agisca unita. Ci sono Paesi in deficit e altri in surplus. I primi devono spendere meno e risparmiare di più, intanto muoversi in fretta per recuperare competitività , produttività  ed efficienza, e penso innanzitutto all’Italia. Ma i secondi, quelli con i bilanci sani -Germania, Finlandia, Estonia, Olanda – devono risparmiare di meno e spendere di più, ovvero varare, visto che possono, massicci programmi di investimenti pubblici e privati incentivati, in grado di diffondere i loro benefici in tutto il continente. E poi devono fare uno sforzo ulteriore di solidarietà , cioè permettere che le nazioni più indebitate possano usufruire di scadenze più lunghe per i risanamenti dei bilanci e la riduzione dei debiti. Possano insomma intraprendere misure per la crescita e allentare l’austerity. Senza crescita non si va da nessuna parte: se si continua a non far nulla la recessione continuerà  per 12 mesi e anche un anno e mezzo per Italia e Spagna. Non hanno perso l’accesso ai mercati: bisogna dare loro la possibilità  di rifinanziarsi e investire».
Ma gli interventi pubblici non rischiano di alimentare l’inflazione, come temono i tedeschi?
«L’inflazione la crea la domanda, il bene più raro in Europa. Oggi c’è la deflazione, che è molto peggio perché nessuno spende pensando di trovare domani prezzi più vantaggiosi. La Germania può benissimo tollerare livelli di inflazione del 3-4%, maggiore di quella odierna, mentre nei Paesi deboli è bene
tenerla entro il 2%».
E la Grecia? In 12-18 mesi farà  in tempo a fallire tre volte.
«Infatti occorre agire subito con un massiccio intervento di capitale. In ogni caso. Anche se la si abbandona al suo destino “accompagnandola” fuori dall’euro in modo ordinato, una soluzione dignitosa e migliore di una rottura traumatica, non si può interrompere il flusso dei finanziamenti perché la rivolta di piazza sarebbe tragica. Resta da vedere se costa di più farla fallire o continuare ad assisterla per far sì che resti nell’euro. Comunque sono interventi molto onerosi».
Ma se Atene esce è la fine dell’euro?
«Bisogna vedere quali sono a quel punto le condizioni di Italia e Spagna. Se sono malmesse come oggi e quindi tremendamente vulnerabili al contagio, è un disastro ».
Per l’Italia la maggioranza dei presenti qui a Cernobbio è sicura che i destini migliori sono legati al Monti-bis. Lei è della stessa idea?
«Sarebbe una grande fortuna per l’Italia poter contare su un nuovo governo guidato da Monti o da un tecnico di pari valore come Vittorio Grilli. E non sarebbe impossibile: una volta fatte le elezioni, com’è logico che avvenga in una democrazia, si potrà  creare una grande coalizione che sostenga il premier. Ma anche se vince con numeri forti il centrosinistra è possibile lo stesso schema, o un governo politico che veda la presenza di tecnici come Monti e Grilli. Tutto questo è più difficile se vince ampiamente il
centro-destra».
Tornando alla Bce, circolano le bozze di riforma per la vigilanza unificata. È uno dei pilastri per la stabilizzazione del sistema?
«I tempi sono lunghi perché i politici europei hanno dato prova di incapacità  a raggiungere accordi. Difficile è anche l’intesa su altri fronti come la creazione del fondo di risoluzione finanziato dalle banche e dalla Bce per gli interventi sugli istituti non falliti ma in pericolo. Il fondo dovrà  essere controllato da un’authority apposita per evitare conflitti d’interesse. Alla Bce va invece lasciata l’autonomia per ricapitalizzare le banche in bonis ma ancora una volta qui intervengono i veti politici per i timori di moral hazard. Gli stessi timori frenano la creatività  di Francoforte nell’elaborare forme alternative al quantitative easing vietato dai trattati: perché non ricorrere a un “credit easing”, il riacquisto anche di obbligazioni private? Infine, nessuno si opporrebbe se venissero portati a zero i tassi d’interesse, il che provocherebbe una svalutazione del 10-20% dell’euro vitale per l’export».


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