by Sergio Segio | 25 Settembre 2012 8:00
QUATTRO anni fa Barack Obama, all’epoca giovane senatore, offriva al Paese più ispirazione che esperienza. Oggi, con i capelli più grigi, Obama corre con tutti i vantaggi dei presidenti in carica e tutti gli svantaggi di un bilancio di cui rendere conto, penalizzato da una ripresa fiacca e da una disoccupazione alta che non vuole saperne di scendere.
Signor presidente, quattro anni fa lei venne eletto promettendo speranza e cambiamenti in positivo. Il suo avversario sostiene che non ha mantenuto nessuna delle due cose. Raramente il Paese è stato tanto diviso politicamente. E la gente ha paura per il proprio posto di lavoro. Le persone hanno paura per il futuro della propria famiglia. Come risponde?
«Penso che sia importante sapere dove eravamo e quanta strada abbiamo fatto. Quando ho giurato come presidente l’occupazione calava al ritmo di 800.000 posti di lavoro al mese. Siamo arrivati noi e abbiamo preso delle decisioni difficili. Tutto, dalla stabilizzazione del sistema finanziario alle misure per garantire la sopravvivenza dell’industria automobilistica, è stato fatto per ridurre le tasse per le famiglie di classe media ed evitare che gli Stati fossero costretti a licenziare in massa insegnanti, vigili del fuoco e agenti di polizia. E la domanda ora per il popolo americano è: vogliamo continuare lungo questa strada o vogliamo tornare a quelle stesse politiche che ci hanno precipitato in questa situazione disastrosa? ».
Gli eventi che sono accaduti in Medio Oriente recentemente l’hanno indotta a un ripensamento sul sostegno offerto ai governi saliti al potere in seguito alla Primavera Araba?
«Anche all’epoca dissi che sarebbe stata una strada piena di difficoltà . Per noi la cosa giusta da fare, senza alcun dubbio, è stata schierarci dalla parte della democrazia, dei diritti universali, dell’idea che la gente deve poter scegliere da chi e come essere governata. Ma sono abbastanza sicuro, e continuo a esserlo, che la strada sarà irta di ostacoli, perché in moltissimi di questi Paesi l’unico principio organizzatore è stato ed è l’islam, l’unico elemento della società che non veniva controllato per intero dal governo. Ci sono tendenze estremistiche e sentimenti antiamericani e antioccidentali, e i demagoghi naturalmente possono sfruttare questi sentimenti. Probabilmente ci saranno occasioni in cui ci scontreremo con alcuni di questi Paesi e registreremo un forte disaccordo, ma ritengo che nel lungo periodo ora ci siano maggiori probabilità di avere un Medio Oriente e un Nordafrica più pacifici, più prosperi e più in linea con i nostri interessi».
Dopo la tragedia di Bengasi, il suo avversario l’ha attaccata accusandola di essere debole per quanto riguarda la difesa nazionale e la politica estera.
«Riesaminiamo quello che ho fatto dal momento in cui sono entrato in carica. Ho detto che avrei messo termine alla guerra in Iraq. L’ho fatto. Ho detto che avremmo combattuto senza tregua Al Qaeda. Sono decimati. Ho detto che avremmo dato la caccia a Bin Laden. Non c’è più. In altre parole, ho messo in atto quello che ho promesso in politica estera. Ed è una politica estera che il popolo americano in gran parte condivide. Perciò, se il governatore Romney sta suggerendo che dovremmo iniziare un’altra guerra, farebbe meglio a dirlo».
Quante pressioni riceve dal primo ministro israeliano Netanyahu per convincerla a usare la forza militare in Iran?
«Sono in contatto continuo con il primo ministro Netanyahu. E comprendo e condivido la sua insistenza sulla necessità che l’Iran non arrivi a dotarsi di bombe nucleari, perché sarebbe una minaccia per noi, sarebbe una minaccia per Israele e sarebbe una minaccia per il mondo, e innescherebbe una corsa agli armamenti nucleari.
(©Cbs Traduzione Fabio Galimberti)
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