Anche Hollande punta sull’«onda verde»

by Sergio Segio | 15 Settembre 2012 8:57

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PARIGI. La strada per rilanciare l’occupazione attraverso investimenti e cambiamenti rispettosi dell’ambiente è a portata di mano? Franà§ois Hollande ha risposto positivamente ieri a questa domanda, in apertura della Conferenza ambientale, che fino a oggi riunisce 300 persone al Palais d’Iéna, 14 ministri, ong, sindacalisti, datori di lavoro, politici nazionali e locali. Il presidente, in netto calo nei sondaggi, accelera: ha promesso che Fessenheim, la più vecchia centrale nucleare francese, sarà  definitivamente chiusa nel 2016 e che non verranno persi posti di lavoro, perché lo smantellamento dovrà  essere «esemplare» nel mettere a punto tecnologie che poi potranno venire esportate all’estero. Hollande ha anche annunciato che verrà  respinta ogni richiesta di sfruttamento del gas di scisto, realizzato con il ricorso a fratturazione idraulica della roccia, perché con questa tecnologia «allo stato attuale delle conoscenze nessuno può dire che non ci siano effetti negativi sulla salute e sull’ambiente». Il presidente francese ha anche promesso che farà  pressioni in Europa per ampliare il «pacchetto clima-ambiente», approvato nel 2008 e chiamato «20-20-20», che mirava a ridurre entro il 2020 del 20% le emissioni di gas a effetto serra, a diminuire del 20% i consumi di energia e a far salire al 20% la parte di energie rinnovabili: l’obiettivo è portarlo «a meno 40 nel 2030 e a meno 60 nel 2040». Ci saranno inoltre incentivi fiscali per favorire maggiore isolazione termica delle case. Sono allo studio delle riforme fiscali, senza aumenti di imposta, per estendere il bonus/malus a vari prodotti. Hollande ha parlato anche della pista di una carbon tax ai confini del mercato della Ue, per combattere il dumping ecologico. Cinque tavole rotonde discutono fino a oggi di: transizione energetica, difesa della biodiversità , legami tra salute e ambiente, fiscalità  ecologica, governance. Il programma è allettante, anche se i manifestanti che erano ieri di fronte al Palais d’Iéna e le ong ambientaliste chiedono tempi più stretti e impegni finanziari precisi. Ma grossi dubbi pesano sulla possibilità  di realizzare questi obiettivi. Sullo stop al gas di scisto c’è la levata di scudi del padronato, che vuole poter sperimentare per sfruttare un’energia a basso costo, di cui sembrano ricche le rocce francesi (negli Usa, Obama ha affermato che il prezzo dell’energia si dimezzerà  grazie a questo gas). Sul nucleare, Hollande ha ripetuto che si punta a ridurre la dipendenza da questa fonte di energia al 50% entro il 2025, dal 75% attuale. Ma il ministro del rilancio produttivo, Arnaud Montebourg, ha detto di recente che «il nucleare è una filiera d’avvenire». Per quanto riguarda l’ampliamento a meno 40 e poi a meno 60 del «20-20-20», la triste realtà  è che non si sta rispettando la tabella di marcia, a causa della crisi economica, che del resto aveva già  spazzato via tutte le promesse di Sarkozy in materia ecologica. Più delicati ancora gli interventi sulla salute. Molti studi hanno sottolineato che le polveri sottili prodotte dai motori diesel sono estremamente nocive. 12 milioni di persone vivono in Francia in città  che superano i limiti stabiliti dall’Oms. Ma la Francia è un campione di produzione delle auto diesel: 71% delle vendite sono dei diesel (51% in Europa), grazie a una fiscalità  favorevole che dura dal dopoguerra. Peugeot, che già  ha previsto 8mila tagli di posti di lavoro, è numero uno nel diesel. Limitazioni all’uso di questo carburante avrebbero «conseguenze molto importanti sull’occupazione», sostengono a Peugeot. La fabbrica di Tremery (Mosella) occupa 4200 persone che producono solo diesel, come alla Renault di Cléon (4mila dipendenti). I grandi produttori agricoli sono poi preoccupati per le dichiarazioni che il ministro dell’agricoltura, Stéphane Le Foll, ha fatto alla vigilia della Conferenza: diminuire la parte di biocarburanti nella benzina, limitandola al 7%. La Ue ha fissato un obiettivo del 10%, ma la Francia chiede ora che venga raggiunto non più con biocarburanti estratti da colture che fanno concorrenza all’alimentare (colza, barbabietola, girasole, mais), ma con biocarburanti di seconda generazione (prodotti a base di scarti o residui vegetali).

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