Alfano e Letta rompono la barricata: Renata, rifletti

by Sergio Segio | 25 Settembre 2012 6:38

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ROMA — Finisce con gli uomini della Polverini con i nervi a fior di pelle, con Stefano Cetica — ex assessore al Bilancio — che insulta un cronista del Corriere, il capo di gabinetto (un altro ex dell’Ugl, l’ex sindacato della presidente) che colpisce prima il reporter di una radio e poi attacca i fotografi. Clima tesissimo, rissa sfiorata. A sedarla, interviene Francesco Storace, un tempo detto «Epurator», uno che ha esperienza nella gestione dei momenti caldi. Il leader di «La Destra» si mette in mezzo, ferma i suoi: «Fatela finita». Cerca di fare da paciere con giornalisti e fotografi. Intervengono anche i concierges del residence Ripetta, dove si tiene l’incontro con i media: «È un albergo, basta», dicono a Zoroddu, il capo di gabinetto, che viene portato via.
Sono tutti un po’ sotto pressione, quelli della Polverini. Mentre la governatrice parla, attorniata da microfoni e telecamere, in prima fila c’è Mariella Zezza, ex assessore al Lavoro, ex giornalista televisiva, amica personale di Renata e sua «fedelissima». La Zezza è rossa in viso, ha le lacrime agli occhi. Batte le mani, come un ultrà  allo stadio: «Brava, brava Renata! Sei una persona straordinaria!». Vicino a lei, l’ex medico della Roma, Mario Brozzi, capolista della Lista Polverini. Del Pdl, in pratica, non c’è nessuno. Tra gli assessori, si vede Fabiana Santini, ex segretaria di Scajola, entrata in giunta come pidiellina ma avvicinatasi moltissimo alla presidente. E, alla fine, compare l’ex forzista Marco Mattei. Fine.
I capicorrente, o gli assessori più «politici», non ci sono. I vertici ci hanno provato fino all’ultimo, a trattenerla: «Fino a pochi minuti fa ero al telefono con Berlusconi», svela la Polverini. Il Cavaliere l’ha chiamata mentre lei stava andando ad annunciare le dimissioni ma, una volta capito che non c’era più nulla da fare, ne ha preso atto. Del resto, la stessa cosa gliel’avevano detta Angelino Alfano, Maurizio Lupi, Fabrizio Cicchitto, Gianni Letta durante l’incontro — durato circa 40 minuti — a Montecitorio, intorno all’ora di pranzo: «Se pensi di farcela vai avanti. Altrimenti lascia», è stato il consiglio. E la Polverini, fatto un giro di chiamate, capisce che ormai non c’è più nulla da fare. Incontra Francesco Storace, l’uomo che nelle ultime settimane ha fatto il «portavoce-ombra» della presidente. Lui non ci sta a mollare: «Ma perché dobbiamo andare via noi, che abbiamo fatto?». È furibondo con gli alleati, che non tengono: «Così ci facciamo soggiogare dalla propaganda». Nella sede di «Città  Nuove», la Polverini è sola col suo staff ristretto, arriva anche Denis Verdini.
Alla fine, è l’Udc a essere decisiva. I dirigenti laziali del partito, con in testa il vicepresidente della Regione Luciano Ciocchetti, hanno resistito fino all’ultimo. Con il Pdl erano vicini a un accordo: far dimettere il presidente del consiglio regionale Mario Abbruzzese, l’altro «rivale» della Polverini. Trattativa saltata, per l’intervento di Casini e di Cesa: «O aderite alle dimissioni del consiglio regionale, oppure vi sconfessiamo». Prima di parlare in tivù, il leader la chiama: «Non ce l’abbiamo con te, ma non possiamo più restare». Nelle redazioni girano dossier anche sui centristi: emerge la storia de «I borghi», dove tra i soci figura anche Cesa. Casini capisce che deve staccare la spina, e a quel punto si sfilano anche Fli e Api: «Non ha più senso restare», dicono i finiani. La maggioranza assoluta di 36 consiglieri dimissionari, ormai, è centrata. E la Polverini lascia. Per il suo addio sceglie una sede non istituzionale e fa chiamare il residence Ripetta.
In circa mezz’ora si toglie gli ultimi sassolini. Parla di «personaggi ameni che girano per l’Europa, a rappresentare l’Italia», riferendosi ad Antonio Tajani e Alfredo Pallone, gli uomini che hanno aperto la «guerra» in Regione, facendo saltare Fiorito da capogruppo. Graffia il centrosinistra: «Le ostriche giravano pure con Marrazzo». E attacca Esterino Montino: «Se il Pd fosse stato forte non si sarebbe affidato a una “maestrina” come mi ha definita un signore mezzo sordo che fa politica da 26 anni”». Promette battaglia: «Ci sono cose che non ho mai detto. Da domani comincio». E prova a sorridere: «Spero di dormire, ora. In questi giorni ho mangiato poco, ma questo mi ha dato una forma invidiabile: non tutti i mali vengono per nuocere». Poi saluta: «Andiamo a cena, con le nostre carte di credito».

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