by Sergio Segio | 16 Settembre 2012 16:53
IL CAIRO — Dilaga sui web site e i forum integralisti dall’Egitto, alla Libia, al Marocco, al Pakistan l’appello lanciato dalla cellula di Al Qaeda nello Yemen che chiede ai fedeli musulmani di uccidere altri diplomatici americani come vendetta per il film blasfemo su Maometto prodotto negli Stati Uniti, lo scadente lungometraggio dal titolo “L’innocenza dei musulmani” definito dagli dai terroristi yemeniti come «un altro capitolo nella guerra crociata » contro l’Islam. Le proteste in molte piazze arabe ieri sono diminuite di intensità — anche se nuove manifestazioni ci sono state anche a Sidney in Australia e a Male, la capitale delle Maldive — ma la rabbia per l’offesa al Profeta non scende, anzi viene cavalcata sia dai gruppi salafiti che dai movimenti filo-qaedisti, un appello inquietante per tutto il mondo arabo. «Chi si imbatte negli ambasciatori o negli emissari americani dovrebbe seguire l’esempio dei “Figli di Omar al-Mukhtar” — il gruppo libico che condotto l’attacco a Bengasi — che hanno ucciso l’ambasciatore americano», ha fatto sapere nel suo appello Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQPA). «Colpire le ambasciate è un passo verso la liberazione dei Paesi musulmani dall’egemonia americana », si legge in un comunicato sul sito Internet del gruppo. Ieri sono stati gli stessi estremisti yemeniti a giustificare l’attacco a Bengasi, fermamente condannato dall’Onu, come è una vendetta per la morte di Abu Yahya al-Libi, numero due di Al Qaeda — che era appunto un libico — ucciso lo scorso giugno in Afghanistan. «Questa è una vendetta di Al Qaeda contro le Primavere arabe », spiega Hani Shukrallah, editorialista del quotidiano Al Ahram. Le rivolte che hanno rovesciato i regimi autocratici in Libia, Tunisia e Egitto — è il filo del suo ragionamento — hanno dimostrato che le cose potevano cambiare anche senza ricorrere alla Jihad — la guerra santa — ma con movimenti di giovani, di studenti, di impiegati che sono scesi in piazza per settimane: il jihadismo che ha dominato l’ultimo decennio ha visto nelle Primavere arabe — che sono state sostenute e aiutate dall’Occidente — il suo crepuscolo, la diffusione di questo film blasfemo è stata l’occasione scelta per un ritorno in grande stile sulla scena. Con le “Primavere arabe” i gruppi salafiti, che sono il brodo di cultura del jihadismo, sono tornati sulla scena con la volontà di creare un rapporto di forza diverso nelle strade e nelle piazze — specie in Egitto, come in Libia e in Tunisia — dove il potere è stato assunto da islamici conservatori, ma moderati. Diversamente dalla Fratellanza musulmana, il partito di maggioranza relativa in Egitto che è ben strutturato e centralizzato, i salafiti si raggruppano in piccole formazioni guidate da sceicchi influenti, hanno un messaggio più religioso che sociale, basato esclusivamente sulla difesa del dogma e della tradizione; per i governi arabi moderati sono una vera spina nel ianco nei prossimi anni. In Egitto, dopo aver difeso passivamente l’Ambasciata americana dalle proteste, le autorità egiziane hanno deciso dopo 5 giorni di sgomberare tutte le strade circostanti la sede diplomatica e anche il “presidio” che i gruppi salafiti, aizzati dai loro imam di periferia, avevano piantato a Piazza Tahrir. Centinaia di militari hanno fatto irruzione sulla piazza di primo mattino e in una ventina di minuti hanno sgombrato ogni assembramento. Oltre cento gli arresti, ma senza nessun eccesso di violenza. Il messaggio mandato dalla Fratellanza musulmana ai salafiti — che con il loro principale partito Al Noor hanno ottenuto il 25% alle ultime elezioni — è chiaro: nessuna protesta violenta sarà più tollerata. Nelle prossime ore vedremo la risposta.
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