Accoglienza da star per i pm di Palermo «Su di noi silenzio assordante del Csm»

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MARINA DI PIETRASANTA (Lucca) — «Non so se mi conviene». Nella foto ricordo dietro al palco Giancarlo Caselli finge di avere qualche remora a lasciarsi immortalare con Nino Di Matteo e Antonio Ingroia, i due colleghi palermitani negli ultimi mesi al centro di qualche leggerissima polemica.
Il procuratore capo di Torino scherza, naturalmente. Al teatro della Versiliana, casa della festa annuale de Il Fatto Quotidiano, il presunto partito dei magistrati gioca in casa, eufemismo altrettanto leggero. Quando i due pubblici ministeri della trattativa Stato-mafia fanno il loro ingresso ricevono dal pubblico un trattamento alla Jagger-Richards: tutti in piedi, e sei minuti di applausi, interrotti soltanto da un cenno della mano di Marco Travaglio, obbligato a tempi contingentati per via del concerto di Franco Battiato che incombe.
La presenza di Di Matteo e Ingroia all’evento organizzato dal quotidiano che più di ogni altro si è speso in loro favore raccogliendo 157 mila firme a sostegno dell’azione della Procura di Palermo presentava qualche problema di opportunità . Secondo una vulgata molto diffusa, giusta o sbagliata che sia, il giornale diretto da Antonio Padellaro è considerato uno dei vertici di un complotto politico-mediatico a danno del Quirinale, che ha sollevato un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale sulle intercettazioni telefoniche, contenute nell’indagine sulla cosiddetta trattativa fra Stato e mafia al tempo delle stragi, in cui appare il presidente della Repubblica.
A domanda diretta i due diretti interessati hanno risposto in modo diverso, operando quasi un capovolgimento di ruoli. Molto deciso Di Matteo, che dovrebbe essere il più tranquillo della coppia: «Mi sono posto il problema e l’ho subito risolto: sono qui, e non vado spesso a dibattiti pubblici». Ecumenico, quasi pacato Ingroia: «Certo che ci ho pensato. Ma è mia convinzione che sia più importante cosa si dice, e non il dove. Per altro, la sera scorsa sono stato ospite a un dibattito del Pd a Padova: par condicio».
Dopo la consegna della chiavetta Usb con le 157 mila sottoscrizioni per mano di una emozionatissima signora di Collegno, Margherita Siciliano, che con una sua lettera l’aveva proposta per prima, lo scambio delle parti tra i due magistrati è stato rispettato anche sul palco. Dopo aver ringraziato i cittadini firmatari — «non cerchiamo il consenso popolare, ma per noi è importante sentire l’affetto della gente» — Di Matteo ha denunciato, pare sia una prima volta, «il silenzio assordante» del Consiglio superiore della magistratura, delle istituzioni e degli organi «centrali e romani» dell’Associazione nazionale magistrati rispetto alle «invettive e attacchi violentissimi di politici e giornalisti importanti» da loro ricevuti sulla vicenda delle intercettazioni al capo dello Stato. Ovazione.
Nel pubblico si percepiva una atmosfera diffusa da «siamo solo noi». Non poteva essere diversamente, data l’occasione. Ma 6.000 (seimila) persone tra platea e megaschermi ad ascoltare con devozione tre magistrati e due giornalisti — Marco Lillo e Travaglio — rappresentano un dato importante.
Quando è stata la volta di Ingroia, il magistrato più esposto e contestato d’Italia, in partenza per il Guatemala, l’ha presa da lontano con toni soffici, per arrivare verso la fine, rivolgendosi ai suoi sostenitori, ovvero a tutti i presenti, con una specie di bilancio conclusivo della sua esperienza a Palermo. «La posta in gioco è questa: le stragi del biennio 1992-93 sono il modo in cui la mafia contrattò un patto con il vecchio e il nuovo che avanzava. Abbiamo bisogno del vostro sostegno — ha detto rivolto al pubblico —, che i riflettori siano sempre accesi. In queste condizioni della politica, con il Parlamento delle leggi ad personam e del disastro legislativo, la nostra indagine è il massimo risultato realizzabile. Non è ancora emersa tutta la verità ».
La conclusione è stata un appello che a voler essere maligni sembrava una discesa in campo, più che un commiato. «Tocca a voi — ha detto — non essere tifosi e spettatori. Dovete cambiare questa classe dirigente e questo ceto politico. Il futuro è nelle vostre mani». Titoli di coda sulla ricostruzione dello scontro con il Viminale fatta da Travaglio. Da registrare qualche «vergogna» dalla platea rivolto a Giorgio Napolitano, ogni volta, quindi quasi sempre, che il giornalista ci andava pesante con il presidente della Repubblica. Di Matteo e Ingroia assistevano impassibili.
La sintesi del dibattito e annesso bagno di folla è stata fatta con flemma piemontese da Caselli. «Con tutto il rispetto, ma trovo lecito nutrire dubbi legittimi di opportunità  circa il conflitto di attribuzione sollevato dal Colle presso la Corte costituzionale». All’uscita dalla Versiliana i fedelissimi di Ingroia e Travaglio usavano espressioni parecchio più colorite. Ma il senso, insomma, era quello.


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