by Sergio Segio | 11 Settembre 2012 7:13
ROMA — Il sangue di Scampia chiamerà altro sangue. E l’aria greve di questa estate di resa dei conti cominciata il pomeriggio del 24 luglio con 7 colpi di calibro 9 in piazza Regina Margherita a Nettuno ora ammorba la striscia di 170 chilometri tra Roma e Formia. Perché tre cadaveri di camorra in poco più di sei settimane (Modestino Pellino, Gaetano Marino, Raffaele Abete) promettono di rimescolare antiche alleanze. Offrire “opportunità ” e dunque sollecitare nuovi appetiti. Seminare rancori, utili a diventare presupposto di nuove vendette. Soprattutto, di rimettere in discussione quegli equilibri che tengono ormai Roma annodata a Napoli e Caserta con la forza della gomena di una nave.
“IL POTERE DELLA DROGA”
In tutta la provincia di Latina, la torta del traffico di stupefacenti — cocaina, eroina, hashish — tiene insieme, e non certo da ieri, la “storia” dei clan camorristici campani e famiglie calabresi di ‘ndrangheta come i “Tripodo-Romeo” e i “La Rosa” di Reggio, i “Bellocco” di Rosarno e gli “Alvaro” di Sinopoli. Nei più recenti rapporti dell’Arma, della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e della Dia, si scorre un interminabile elenco anagrafico che tra latitanti, detenuti, “obbligati al soggiorno” e
morti ammazzati, segnala che i padroni di questa terra sono da anni i “Moccia” (di cui Pellino era il luogotenente) di Afragola, Caivano e Casoria; i “Casalesi” di Casal di Principe; i “Bardellino” di san Cipriano d’Aversa; i “Venosa” di Aversa; i “Pianese” dell’hinterland a nord di Napoli; i “Beneduce-Longobardi” dell’area flegrea di Pozzuoli; i “Di Lauro” di Secondigliano, che, per altro, in questa nuova guerra dentro gli “Scissionisti” si ipotizza abbiano deciso di prendere parte.
Sono seduti su una montagna di denaro. Perché la “roba” che arriva da Napoli a Latina è tanta. E serve almeno quattro mercati. Quello pontino, ovviamente, ma anche quelli di Roma, Milano, Catanzaro. E se sono una spia i sequestri di beni mobili e immobili che del traffico di stupefacenti sono lo strumento di riciclaggio (soltanto tra febbraio e marzo di quest’anno sono stati congelati ricchezze sul litorale pontino per oltre 150 milioni di euro), parliamo di cifre a sette, otto zeri. Il cui reimpiego intossica gli appalti pubblici, stringe in un monopolio gli affari dei mercati ortofrutticoli (Fondi su tutti) e ha consegnato ai clan il monopolio sia del traffico pesante su gomma che del movimento terra nei cantieri tra Aprilia e Minturno.
“NUOVE ALLEANZE”
È un’immensa liquidità che divora quel che resta di un’economia legale in ginocchio perché asfissiata dalla crisi, e modella alleanze altrimenti impensabili. Per dirne una, nel novembre dello scorso anno, la Guardia di Finanza e la Polizia, lavorando sul giro di estorsioni con cui il clan “Bardellino” tiene stretto in una morsa il golfo di Gaeta (“Operazione Golfo”), finiscono con lo scoprire i nuovi equilibri interni ai Casalesi. Si legge nelle carte che documentano l’operazione: «Le indagini hanno potuto accertare che, una volta appianati i vecchi contrasti con il clan Schiavone, i Bardellino, riorganizzatisi a Formia, sono diventati il punto di riferimento dei “Casalesi”, di cui di fatto ormai operano come articolazione nel sud pontino, e cui
assicurano il reimpiego di capitali illeciti nel tessuto imprenditoriale locale ». Ma c’è di più. Nel laboratorio pontino, così come per la ‘ndrangheta a Roma (come ha documentato un’inchiesta di “Repubblica” la scorsa settimana) anche il vincolo di appartenenza ai clan non è più un presupposto necessario per sedersi al tavolo delle famiglie. Il “knowhow” premia sui quarti di nobiltà criminale. Il “franchising” dello spaccio tiene lontani i pezzi importanti delle famiglie dai marciapiedi, senza privarli del controllo.
“COCA AI VIVI, RACKET SUI MORTI”
È la storia di Vincenzo Marciello e Mirko Cascarino. Sono due ragazzi di Formia. Ventisette anni il primo, 21 il secondo. La scorsa primavera, la Direzione distrettuale antimafia di Napoli e l’Arma li scopre padroni dello spaccio sulla piazza di Terracina per conto del clan “Fragnoli-Pagliuca” (Mondragone). Ma il denaro che alzano con cocaina e hashish, viene reinvestito in quote societarie di imprese di pompe funebri con cui puntano al monopolio del “caro estinto” da Terracina in giù. Un segnale — annota un rapporto dell’Arma — che «testimonia la capacità di evoluzione della criminalità locale in un contesto di crimine organizzato ». E forse neppure l’unico, se è vero che a Latina due famiglie nomadi come i Ciarelli” e i “Di Silvio” trafficano ormai in ogni tipo di illecito (a cominciare dalle estorsioni) e, dunque, con la benedizione dei clan.
FROSINONE COME LATINA
La metastasi di camorra che si è mangiata metà del Lazio non sembra conoscere argine.
Peggio, appare ed è percepita ormai come una parte del paesaggio. Come il sole e la mozzarella di bufala. E nella sua “ovvietà ” annegano nel silenzio le notizie che segnalano come anche la provincia di Frosinone, al pari di quella di Latina, sia ormai roccaforte dei clan. I “Casalesi” e i “Mallardo” di Giugliano, come, non più tardi del giugno scorso, ha documentato l’ennesima operazione anti-camorra (“Lilium”) della Direzione distrettuale antimafia di Napoli e del Ros dei carabinieri che di indagati in carcere ne ha trascinati 47. Il “format” è lo stesso. Il traffico di stupefacenti che arriva dal litorale pontino assicura una liquidità capace di intossicare la regolarità degli appalti e moltiplicare i monopoli. E non sempre è necessario sparare. Quasi sempre funziona la forza dell’intimidazione, che nel frusinate spesso viene esercitata in franchising da quella stessa famiglia nomade dei “Di Silvio” padrone delle estorsioni nella piazza di Latina.
L’ATTESA
«Otto anni fa — osserva un investigatore dell’Arma — l’ultima guerra di Camorra fissò degli equilibri che hanno segnato anche la geografia criminale del basso Lazio. Quegli equilibri sono saltati ed è ragionevole pensare che il paesaggio del sud pontino ne sarà investito. Non c’è foglia che si muova a Napoli di cui non si senta immediatamente il rumore a Latina o a Formia ». E del resto, in questa che è una guerra di droga, di tre cadaveri, due sono stati raccolti a sud di Roma. Non per caso.
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