by Sergio Segio | 12 Settembre 2012 7:32
Un maggiorenne su 4 si è preso la briga di andare in piazza. Barcellona è rimasta completamente bloccata per ore. Quella che si annunciava come la più grande manifestazione catalanista nella storia della Spagna democratica, ha raddoppiato le dimensioni. Gli slogan e gli striscioni di questa marea umana lasciavano pochi dubbi: «Indipendenza». «Catalunya, nou estat d’Europa», nuovo Stato d’Europa.
L’occasione è stata la festa «nazionale», la Diada cioè semplicemente il «giorno». La ricorrenza nasce da una sconfitta del 1714 quando i Borboni ruppero le difese cittadine e, dopo 13 mesi di assedio, conquistarono Barcellona. Non è mai un buon segno quando la festa nazionale è il ricordo di una disfatta, porta rancori e rivalse. Chiedere a serbi e kosovari per conferma. Ieri, però, tutto si è svolto in perfetta serenità lasciando ancora spazio alla politica perché risolva i problemi in modo civile.
Foulard, bandiere indipendentiste, bandiere europee, una marea di strisce gialle e rosse in mano, sulle aste, sulle carrozzine, sulle sedie a rotelle, ai balconi. Persino la squadra del Barcellona ha fiutato il vento e ha annunciato per il prossimo anno l’adozione di una seconda maglia con i colori e le righe della senyera, la bandiera catalana. Il clamoroso successo del corteo è un ulteriore grattacapo per il governo spagnolo e l’Europa tutta.
Alla base delle rivendicazioni nazionaliste catalane c’è l’impossibilità di mantenere l’attuale livello di servizi pubblici dopo i tagli richiesti dall’Europa a Madrid e da Madrid alle sue regioni. Impossibilità che però, nel caso catalano non è giustificata dai numeri. Il debito regionale è appena al 20% del Pil e anche se il deficit è in crescita verticale, se anche nelle casse locali mancano i soldi per gli stipendi pubblici e Barcellona ha dovuto chiedere un «salvataggio» da 5 miliardi allo Stato centrale, anche se tutto questo è vero, è altrettanto indubbio che Barcellona raccoglie in tasse più di quanto spende e che, con quanto versano i suoi cittadini, potrebbe permettersi asili, scuole, strade e ferrovie a livello di Danimarca, Baviera o Norvegia.
Il «governatore» catalano Artur Mas (president de la Generalitat) ha un’appuntamento con il premier spagnolo Mariano Rajoy per il 20 settembre proprio per discutere un nuovo «patto fiscale» tra Barcellona e Madrid. Ieri Mas è stato il grande assente. «Non posso negoziare e chiedere l’indipendenza allo stesso tempo». Da parte di Rajoy, però accettare un patto del genere significherebbe accettare una Spagna a due velocità . In scala ridotta quel che rischia l’Europa.
Andrea Nicastro
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