Voto anticipato, il Colle chiude il caso

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ROMA — E’ una cosa che fa pensare a certe opere concettuali di Emilio Isgrò, l’artista delle «cancellature»: si va dentro un testo, e se ne cancella qualche parte, per trovare un altro testo, nascosto. Solo che stavolta, nel messaggio di lunedì del capo dello Stato sulla riforma elettorale, il significato occulto non c’era. E Giorgio Napolitano ha sentito il bisogno di spiegarlo, ieri, con una nota ufficiosa, precisando che in quel richiamo ai partiti «non si è pronunciato su ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere». Non si è mai sognato di farlo.
Ha dunque sbagliato — avverte il Quirinale — chi ha letto il suo appello (o ultimatum che fosse) alla stregua di un secco «sì» o «no» alle urne d’autunno, e indipendentemente dal fatto che il Parlamento vari intanto uno strumento di voto alternativo al Porcellum. Il presidente della Repubblica — si aggiunge puntigliosamente — «ha ribadito che occorre la massima cautela e responsabilità  nell’affrontare una materia così delicata, che non può piegarsi a posizioni di parte e a manovre politiche, richiedendo valutazioni e decisioni che spettano solo» a lui.
La smentita tocca la grande maggioranza delle interpretazioni accreditate dai giornali e a Montecitorio. Commenti in cui si sintetizzava l’intervento come un obliquo stop alle smanie di chiudere a breve la legislatura, ben prima della scadenza naturale che cade nell’aprile 2013. (Soluzione che comunque il presidente preferirebbe, e lo ha lasciato capire in mille modi). Ora, va osservato che il comunicato-bis ricalca alla lettera le righe finali di quello del giorno prima. Compreso ciò che dovrebbe essere ovvio, sul potere di scioglimento. E’ identico, tranne per due espressioni rivelatrici di quanto Napolitano sia infastidito dal gioco del cerino in corso: «Posizioni di parte» e «manovre politiche». 
E’ proprio questo il punto. Nella sfida tra Pdl e Pd, rimbalzata con risalto interessato su alcuni titoli, si ragiona sulla base di un automatismo fuorviante, per Napolitano. Cioè secondo la logica per cui, fatta la legge elettorale, subito dopo si vota. 
Non è così. Non necessariamente, almeno. Il capo dello Stato, mettendo al riparo le prerogative che gli sono attribuite dalla Costituzione («e quelle si eserciteranno nelle condizioni date», specificano dal Colle), vuole lasciar intendere che le due partite non s’intrecciano per forza. Tanto è vero che il suo primo invito a mettere subito in cantiere la riforma risale al gennaio scorso, quando nessuno parlava di voto anticipato. E lo stesso vale per i numerosi altri messaggi sul tema lanciati dal Quirinale. 
Il retropensiero di Napolitano, che si preoccupa di separare le «manovre politiche» dall’«ineludibile riforma», quindi è: perché non si provveduto allora? Perché invece si intossica il clima con minacce incrociate (lo fanno, più o meno alla pari, Pdl e Pd) per forzare la mano ai competitori, anziché lavorare a un testo-base da condividere e sul quale chiudere poi in Aula? Ancora: perché si vorrebbe pretendere, per calcoli di parte, di farsi scudo del Colle per imporre la propria scelta?
Uno scenario sconsolante, se non si dovesse uscire dallo stallo, rispetto al bisogno di «massima responsabilità » sottolineato dal presidente. Lo stesso bisogno evocato ieri, in sinergia non casuale, dal premier Mario Monti. Il quale ha detto con chiarezza quali potrebbero essere, presso l’opinione pubblica internazionale, le ricadute di scetticismo sul futuro del Paese, nell’ipotesi di incertezze italiane anche su questo fronte.
Tutto adesso dipende dalla buona volontà  dei partiti (esclusi quelli che si sono dimostrati pregiudizialmente ostili a ogni accordo, come l’Idv e la Lega). Napolitano ne sorveglierà  le mosse da Stromboli, dov’è arrivato nella notte per una decina di giorni di riposo. Sono vacanze private. Che il Quirinale ha pregato i cronisti di rispettare.


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