“VIRTà™, FORTUNA E ANCHE CINISMO LA SUA LEZIONE PER LA POLITICA”

by Editore | 6 Agosto 2012 6:35

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«Chi non vorrebbe oggi un Principe? Non se ne vedono molti in circolazione», dice Giuliano Amato mentre tiene tra le mani la copia di un celebre ritratto di Machiavelli. «L’Italia s’è affidata a Monti perché faticava a riconoscere altrove questa figura. E la politica farebbe bene a formarne di nuovi».
Una curiosa coincidenza fa cadere il cinquecentesimo anniversario del Principe, l’opera fondatrice della scienza politica moderna, in un paese afflitto dall’antipolitica.
E per il compleanno del famosissimo trattato (1513-2013), che nelle traduzioni internazionali contende il primato a Pinocchio, la Treccani ha messo in cantiere un ricco progetto su un’idea suggerita da Alessando Campi, che del Principe colleziona quasi un migliaio di edizioni in tutte le lingue del mondo. Le celebrazioni includono un’edizione critica a cura di Giorgio Inglese, che sarà  accompagnata dalla pubblicazione anastatica di uno dei codici manoscritti e dalla ristampa anastatica della prima edizione “bladiana”. In programma anche un’Enciclopedia Machiavelli in due volumi e quattrocento lemmi diretta da Gennaro Sasso e da Inglese, con la creazione online della più aggiornata bibliografia machiavelliana. Ed è stata già  prenotata a New York la mostra Il Principe e il suo tempo, che aspira a raccogliere il maggior numero di edizioni con alcuni documenti mai comparsi in pubblico: dalla scheda con cui fu messo all’Indice nel 1559 agli appunti autografi di Cavour in margine al testo. «Sì, Cavour, l’unico vero principe della storia nazionale italiana», dice Amato. «Nel Novecento non se ne sono visti, forse De Gasperi, ma fu un’altra cosa».
Perché recuperare oggi Il Principe?
«Viviamo in una fase storica nella quale affiorano prepotentemente le ragioni pur legittime di ostilità  per la politica. Ostilità  agli sprechi, ai privilegi, agli abusi. In realtà  il vento è cambiato da quando la parola “riforma” ha cessato di significare qualcosa di più e ha cominciato a significare qualcosa di meno. La politica che aveva come missione la distribuzione o la redistribuzione dei beni destava minore avversione rispetto alla politica che distribuisce non beni ma sacrifici. E l’insofferenza è destinata a crescere quando questa politica pur distribuendo sacrifici non dà  mostra di condividerli».
Ma in che modo Machiavelli può parlare ai contemporanei?
«Può farlo, anche se il clima complessivo induce a ritenere pericolose alcune qualità  attribuite dal segretario fiorentino alla politica, ossia un grande realismo e la priorità  assoluta della ragione. L’intuizione più preziosa la troviamo nel rapporto tracciato da Machiavelli tra la virtù e la fortuna, ossia tra la ragione che deve guidare
la storia e la sorte che invece scorrazza prepotentemente se non trova argine».
La fortuna è identificata in un fiume impetuoso che può produrre danno se gli uomini non provvedono a incanalarlo. L’Italia – aggiunge Machiavelli – è la regina delle alluvioni, del tutto sprovvista di argini e canali. Una riflessione che può valere per l’Italia più recente?
«Non c’è dubbio. Nelle fasi difficili c’è propensione per l’adesione emotiva o per la repulsione emotiva. Su questo terreno la politica di Machiavelli è fuori gioco, anzi può divenire bersaglio di una repulsa emotiva. Se penso al centocinquantesimo anniversario dell’Unità  d’Italia, la popolarità  di Cavour è rimasta spaventosamente indietro rispetto a quella di Garibaldi».
Vuol dire che siamo un popolo emotivo, estraneo al ferreo raziocinio di Machiavelli?
«La sua lezione ci appare distante. Denis Mack Smith ebbe un larghissimo successo in Italia dipingendo Cavour come una volpe animata da cinismo. Le volpi non ci piacciono, godono di una cattiva stampa. Eppure il cinismo è una qualità  essenziale di chi fa politica. In alcuni momenti bisogna sciogliere problemi inestricabili: se il politico ci piange sopra, li inumidisce soltanto ma non li scioglie».
Sta facendo l’elogio del cinismo?
«Non proprio, perché il cinismo non può essere l’unica qualità , deve essere al servizio di un disegno. E la nostra visione democratica richiede anche il sentimento. Machiavelli era un predemocratico e all’amore preferiva il metus, la paura. Quel che però mi colpisce è la negazione di questa virtù essenziale da parte dei miei amici della cosiddetta società  civile: il cinismo mai, bisogna essere sempre buoni. Ma si può escludere una trattativa con Al Qaeda se rapiscono una nostra ragazza?».
O si può escludere una trattativa con la mafia in nome di una ragion di Stato?
«Con il nemico interno, io sono sempre stato contrario. Anche in una situazione come quella del 1992, sarei stato contrario a una trattativa. Nessuno osò parlarmene perché sapevano che li avrei buttati giù dalle scale. Per questo pongo la domanda su Al Qaeda. L’unica remora deve essere se, negoziando, favorisco o meno un altro rapimento. Se non c’è questo problema, perché non devo trattare? Perché non devo essere cinico?».
Il Principe può essere letto come la risposta di Machiavelli alla drammatica novità  di quei tempi. La crisi del sistema politico italiano, il collasso dei grandi principati, il travaglio delle antiche repubbliche. E noi lo rileggiamo in un passaggio della storia italiana segnato da una forte crisi.
«Certo, anche in questo è una sua attualità . Allora si trattava di recuperare l’Italia dal barbaro dominio degli stranieri. Oggi si tratta di restituire all’Italia un ruolo sicuro in Europa nella quale da padri fondatori stiamo diventando “minorenni” o “minorati”
sotto sorveglianza. C’è comunque un problema di riscatto nazionale. Con molte differenza, naturalmente, ma una in particolare ».
Quale?
«Oggi a differenza di cinquecento anni fa il monito va indirizzato non solo ai potenziali leader ma a tutti gli italiani. Machiavelli ebbe un’intuizione per i suoi tempi geniale. Sostenne la necessità  di creare una milizia che sostituisse l’esercito mercenario. La milizia agisce non per soldi ma per convinzione. Oggi la milizia siamo tutti noi. La guerra che dobbiamo combattere -Monti l’ha definita una guerra – ci coinvolge tutti. E tutti dobbiamo essere convinti ad accettare quello che è il cinismo guidato dalla virtù. Il rischio che io intravedo è la tentazione di sentirsi sentimentalmente a posto lamentando la durezza dei tempi. Questo non ci aiuta a uscirne».
Insomma, noi milizia. Ma il principe, dov’è?
«Non c’è. Certo la politica farebbe bene ad addestrarne alcuni anziché addestrare non abbiamo capito bene chi».

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