Usa, i cinesi sono tornati acquisizioni per 8 miliardi
NEW YORK — Non importa se si fecero rifilare qualche “bufala” nel bel mezzo della grande crisi, entrando come azionisti nelle banche di Wall Street proprio mentre quelle crollavano sotto il peso dei mutui subprime. I cinesi sono tornati. Più munifici che mai, quando si tratta di mettere le mani su aziende americane. In controtendenza mondiale, in un anno depresso per il volume di fusioni e acquisizioni, si nota ancor più il boom degli investimenti cinesi negli Stati Uniti. Quasi 8 miliardi di dollari di operazioni già annunciate, e siamo solo a fine agosto. In otto mesi i grandi investitori cinesi hanno quasi eguagliato il record assoluto del 2007 (pre-crisi dunque) quando fecero 8,9 miliardi di acquisizioni in tutto l’anno. Di qui alla fine del 2012 è quasi certo che quel record sarà ampiamente superato, viste le operazioni in lista d’attesa che potrebbero essere approvate entro la fine dell’anno.
E così l’America sfata un mito, quello della sua diffidenza protezionistica nei confronti del capitalismo cinese. Il mito ha un fondamento storico nel “caso Unocal”: era il 2005, quando l’ente petrolifero cinese Cnooc (controllato dallo Stato, come tutte le aziende energetiche) tentò di conquistare il controllo di Unocal, compagnia petrolifera della California. In quel caso, è vero, le autorità di Washington misero un veto. Non volevano che Unocal servisse da cavallo di Troia per la penetrazione cinese in un settore d’importanza strategica. La stessa logica ha ispirato diversi dinieghi di fronte ai ripetuti tentativi di acquisizioni fatti da Huawei, il colosso telecom cinese, soprattutto nella Silicon Valley. E tuttavia qualcosa è cambiato, non solo nei rapporti di forze tra Usa e Cina, ma anche nell’atteggiamento americano verso gli investimenti targati Pechino. Tra le acquisizioni di quest’anno figura in primo piano proprio un’operazione da 2,4 miliardi firmata Sinopec, altra compagnia petrolifera di Stato, che ha preso il controllo di diverse filiali della Devon Energy. Per valore la supera solo un’altra acquisizione, quella compiuta da gruppo Wanda che ha rilevato l’intera catena di sale cinematografiche multiplex Amc Entertainment: 2,6 miliardi. Quest’ultima ha colpito l’immaginazione perché ricorda un’altra “invasione asiatica2, quella del Giappone negli anni Ottanta quando fra le prede delle acquisizioni ci fu anche Hollywood. Ma rispetto ai giapponesi, i colossi del capitalismo cinese sembrano più selettivi. Nei loro investimenti dominano due settori: l’energia e la tecnologia. Nel primo caso, la logica è analoga a quella che ispira l’espansione cinese verso il resto
dell’Asia, l’America latina e l’Africa: la necessità di assicurarsi l’accesso a risorse naturali e materie prime per sostenere lo sviluppo di una nazione da 1,3 miliardi di abitanti. Nel settore tecnologico, gli americani sospettano che Pechino vada a caccia di tecnologie “duali”, cioè suscettibili di avere anche applicazioni in campo militare.
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