by Editore | 26 Agosto 2012 12:20
Eppure, a oltre cento anni di distanza, le sue parole hanno finito per acquistare un inatteso alone di profezia politica: «Oggi il vocabolo eroe è prodigato con una generosità singolare, e per simiglianza di idee mi ricorda la parola cavaliere, che generalmente è data a persone che sarebbero alienissime dal cavallo da cui la parola proviene».
L’osservazione ci introduce a una curiosa antologia allestita da Guido Davico Bonino e Vincenzo Jacomuzzi: Fu vera gloria? (Edizioni SEI). La scelta di questo verso manzoniano, tratto dall’ode scritta in onore di Napoleone, è motivata nel sottotitolo: Eroi ed eroismi da Don Chisciotte a Capitan America. Spaziando dal Seicento ai nostri giorni, il volume presenta quarantuno brani, ognuno dei quali preceduto da un breve cappello introduttivo. Alla base del progetto, sta dunque l’idea di saltare la grande era che va dai poemi omerici a quelli cavallereschi di Ariosto e Tasso. Limitandosi (si fa per dire) a quattro secoli, i due curatori abbandonano l’epica per la narrativa, come dimostra il primo autore: Cervantes.
Se a dire di Calvino, lo spagnolo, anzi, il “manchego” Don Chisciotte si impone come il primo “romanzo-carciofo” del moderno (nel senso che ogni lembo sfogliato contiene una nuova e diversa verità ), con Robinson Crusoe di De Foe siamo già nel XVIII secolo inglese. Una volta circoscritto il terreno, i campioni più significativi si dispiegano in un autentico ventaglio di caratteri. Ecco il capitan Achab di Melville, il principe Andrej di Tolstoij, Raskol’nikov di Dostoevskij, Edmond Dantès di Dumas, il capitano Drogo di Buzzati o il Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, su su fino a Capitan America, chiamato a rappresentare il variegato mondo della fantascienza, dal fumetto al cinema d’animazione.
Non mancano figure femminili di autrici femminili: a proposito, il celebre alcaloide derivato dalla morfina, deve il suo nome di “eroina” al particolare vigore della sua azione. Abbandonando la chimica per la letteratura, le figure indicate sono quelle di Catherine, da Cime tempestose di Emily Brontà«, della Jane Eyre dell’omonimo romanzo di Charlotte Brontà«, e infine della Marianna Sirca dell’omonimo romanzo di Grazia Deledda. Ad esse possiamo idealmente affiancare i tre nomi di personaggi reali maschili che Claudio Magris menziona nella sua prefazione come esempi di eroi “controvoglia”.
Lontani dall’eroismo statuario che caratterizza «una frigida e cimiteriale maestà neoclassica simile a quella dei monumenti che adornano le tombe», questi uomini si rivelano decisi sì a scegliere la morte, ma, eccoci al punto, pur amando la vita in maniera straziante. Sono Tommaso Moro, il politico inglese che prima della propria esecuzione esprimeva il profondo dispiacere di dover rinunciare ai manicaretti che gli preparava la figlia; Dietrich Bonheffer, il giovane pastore protestante tedesco il quale, salendo al patibolo, confessava come il suo desiderio non fosse quello di vedere Dio, bensì la propria fidanzata; Franz Jà¤gerstà¤tter, un contadino austriaco giustiziato dai nazisti per essersi rifiutato di arruolarsi, e che tuttavia godeva di un’esistenza piena, agiata, felice, sensuale.
Secondo Magris, insomma, il vero eroe, o comunque quello a noi oggi più vicino, «è chi non vorrebbe esserlo ed è costretto a comportarsi come tale suo malgrado». A suo parere nasce proprio da qui, e in special modo nella modernità , l’importanza di eroi comici, primi fra tutti Charlot o lo shlimazel immortalato dalla letteratura yiddish, ossia quel personaggio sfortunato e goffo cui tutto va storto, «ma che non si lascia abbattere e sempre risorge, misirizzi invincibile».
Un altro possibile approccio a materiali così multiformi, potrebbe consistere nell’opposizione fra eroi solitari ed eroi in coppia. In questo caso, a Don Chisciotte e Sancio Panza, o a Robinson Crusoe e Venerdì (per non dire di tanti appaiamenti beckettiani), si oppone il Gordon Pym di Poe, chiuso «come un tragico Giona moderno» nel soffocante buio di una stiva. Commentano i due curatori: «L’eroismo diventa spesso l’esito più alto di una maturazione che l’individuo compie a prezzo di enormi sacrifici con se stesso e nella propria interiorità , sullo stimolo di un Destino particolarmente avverso e crudele».
Nel libro, tuttavia, viene segnalata anche un’altra categoria meno appariscente. Rispetto alle “grandi icone profane”, Davico Bonino e Jacomuzzi si soffermano su un fenomeno che propongono di definire come “eroismo bianco”. Si tratta di un’attitudine che non si manifesta tanto in gesti pubblici, quanto nell’anonimato più gelosamente preservato. Secondo Borges, il nostro tempo avrebbe perduto il senso stesso dell’eroico. Magris risponde che Borges non aveva letto Fenoglio. Una raccolta come Fu vera gloria? ci insegna inoltre che egli doveva aver trascurato anche molte pagine di cronaca quotidiana, pagine che ci presentano persone «in atti spesso audaci, sempre generosi, anche se la loro occasione non è clamorosa, ma improntata alle più umili conseguenze della quotidianità ». Per un comandante Schettino che abbandona la nave in avaria, quanti militi ignoti non esitano a tuffarsi in mare per soccorrere individui sconosciuti?
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