Tre anni di risparmi sui tassi l’offensiva anti-spread per Roma vale 17 miliardi

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TAGLIARE di un punto percentuale il differenziale fra Btp italiani, Bonos spagnoli da una parte, Bund tedeschi dall’altra: per l’Italia, significherebbe una boccata d’ossigeno di almeno 17 miliardi di euro e spiccioli, risparmiati, nel giro di tre anni, sugli interessi del debito pubblico. E’ questo l’obiettivo del generale Draghi, a poche settimane dalla possibile discesa in campo delle truppe della Bce nella battaglia per il salvataggio dell’euro? Ne sono convinte grandi banche internazionali, come l’americana Goldman Sachs e la giapponese Nomura, che hanno tentato, ognuna per proprio conto, di quantificare l’orizzonte entro cui si muoverebbe l’offensiva della Banca centrale europea per difendere le quotazioni dei titoli pubblici di Roma e Madrid e rovesciare lo scetticismo dei mercati finanziari. Nessun irrealistico tentativo di azzerare gli spread, insomma, sottolineano gli analisti di Goldman Sachs, ma lo sforzo di limarli, eliminando gli effetti della recente ondata di panico e riportandoli alla loro tendenza storica. LE DUE BANCHE La linea di ragionamento degli analisti di ambedue le banche segue la traccia del discorso di Draghi a Londra, il 24 luglio e della conferenza stampa, una settimana dopo, a Francoforte. Sia in Inghilterra, che in Germania, il presidente della Bce non ha mai detto di voler risolvere, con un eventuale rastrellamento di titoli sui mercati, i problemi di liquidità  o di solvibilità  dei singoli paesi. Ha invece insistito sul “rischio di convertibilità ”, che fa riapparire – paradossalmente in una unione monetaria che si presuppone indissolubile – quello che una volta si chiamava “rischio di cambio”. In altre parole, secondo Draghi, lo spread con il Bund non riflette soltanto la differente percezione di solidità , rispetto alle finanze pubbliche dei singoli paesi. Una parte, una sorta di premio extra, serve a compensare gli investitori dal timore che quei titoli, alla fine, saranno rimborsati non in euro, ma in lire o pesetas, perché l’euro sarà  esploso e ogni paese sarà  tornato alla sua moneta. Invece, insiste Draghi, «l’euro è irreversibile » e, dunque, quel premio extra non ha ragione di esistere e va riassorbito. L’EURO FRAGILE A quanto ammonta questa sovrattassa dell’euro fragile? Goldman Sachs, considerando le tendenze storiche, a partire da prima dell’euro, giudica che lo spread fra i titoli italiani a 2 anni e i Bund tedeschi – sulla base dei soli dati fondamentali di bilancio – dovrebbe essere di 200-225 punti base, contro i 310 attuali. Per la Spagna, dovrebbe essere 300-325 punti base, contro i 375 attuali. Più o meno, gli analisti di Nomura arrivano ad un risultato simile, utilizzando una metodologia diversa (l’andamento dei credit default swap, il costo delle assicurazioni contro il default): lo spread è più ampio di 50-80 punti base rispetto a quanto sarebbe giustificato dai conti pubblici. I calcoli sono concentrati sulla scadenza a due anni, perché Draghi ha annunciato che gli eventuali interventi della Banca centrale saranno limitati alle scadenze più brevi. Tuttavia, normalmente, un calo dei tassi sui titoli di minor durata si riflette su quelli a più lungo termine (o il governo può scegliere le scadenze più convenienti). Se, dunque, grazie all’intervento della Bce, lo spread con la Germania si riducesse di 100 punti base (ovvero dell’1 per cento), quanto risparmierebbe l’Italia? Nei prossimi tre anni, il Tesoro si prepara ad emettere titoli per circa 500 miliardi di euro. Un rendimento inferiore dell’1 per cento, calcola la Banca d’Italia, farebbe risparmiare 3,1 miliardi di euro di interessi il primo anno. Poi 6,2 miliardi di euro il secondo anno (quando ai risparmi sui titoli emessi l’anno prima si aggiungono quelli appena messi sul mercato). Infine, 8 miliardi di euro nel terzo anno. Il totale è di 17,3 miliardi di euro. UNO SCONTO MINIMO In realtà , tuttavia, questi 17 miliardi di euro sono il risparmio minimo. Goldman Sachs si è concentrata sui titoli bienna-li, perché di questi aveva parlato Draghi, ma, per lo stesso motivo, dopo gli interventi del presidente della Bce, lo spread su questi titoli è quello che più si è riavvicinato alla tendenza storica. Un intervento della Banca centrale che riducesse in generale gli spread alla quota di 200-300 punti, giustificata dai bilanci, significherebbe, per i titoli decennali, una riduzione non di 100, ma di 200 punti base. E non solo. Se il confronto, invece che con le quotazioni attuali, che incorporano l’effetto rassicurante delle parole di Draghi, si effettuasse con la situazione precedente al concretizzarsi di un possibile intervento di Francoforte sui mercati, il taglio dello spread apparirebbe ancora più brusco, fino a 300 punti. I conti, insomma, cambiano, a seconda di dove si pone l’asticella. Ma un intervento deciso ed efficace della Banca centrale sui mercati a consolidare le quotazioni dei titoli italiani si tradurrebbe, comunque, in risparmi di qualche decina di miliardi di euro sugli interessi. IL PAREGGIO Sarebbe una potente spinta a centrare quel pareggio di bilancio, che è la carta migliore che l’Italia può giocare per ottenere solidarietà  e rispetto sul tavolo europeo. Ma gli interessi non bastano, dicono gli economisti. Anzi, alla lunga, non sono decisivi. In realtà , l’asse intorno a cui ruota il risanamento italiano è l’avanzo primario, cioè l’attivo di bilancio senza considerare gli interessi. Lo ribadisce un altro esercizio ipotetico, condotto sulle prospettive italiane da William Cline, un ricercatore del Peterson Institute for International Economics. Esaminando diversi scenari economici più o meno favorevoli in termini di crescita, inflazione, interessi, Cline è giunto alla conclusione che l’Italia sarebbe in grado di sopportare anche costi del debito pubblico superiori al 7 per cento e anche per un buon numero di anni. Il 7 per cento è la soglia oltre la quale paesi come Grecia, Portogallo e Irlanda hanno dovuto rinunciare ad emettere titoli pubblici e hanno fatto ricorso agli aiuti europei. L’Italia, invece, potrebbe cavarsela, perché la scadenza media del suo debito pubblico è assai rallentata (oltre 6 anni) e questo le consente di far fronte ai pagamenti di interessi anche alti, ricorrendo, appunto, al suo avanzo primario. La disciplina di bilancio e l’austerità  sono, insomma, parte fondamentale della ricetta. Cline sostiene che, in base alle sue simulazioni, una riduzione dell’avanzo primario peggiorerebbe la sostenibilità  del debito italiano più di quanto possa fare un aumento dei tassi d’interesse.


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