Tra Draghi e Buba duello sullo statuto su quelle regole si gioca il futuro dell’euro

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Cosa c’è dietro al braccio di ferro in corso tra la banca centrale europea e la banca centrale tedesca Un confronto che si gioca tutto intorno all’interpretazione dello statuto della Bce, ma che si incrocia con la contrapposizione tra “falchi” e “colombe” negli schieramenti politici dell’intera eurozona dichiarazioni, analisi economiche, indiscrezioni alla stampa, interviste in prima persona, come quella del presidente, Jens Weidmann, domenica, allo Spiegel. Da quasi un mese, la Bundesbank bombarda senza sosta, con tutte le armi che i media mettono a disposizione, il quartier generale della Banca centrale europea, a Francoforte, e i suoi piani di salvataggio dell’euro. Ma è guerra aperta o un fuoco di sbarramento per limare, contenere, limitare la strategia di acquisto dei titoli di Stato italiani e spagnoli da parte dell’istituto di emissione? L’impressione, in generale in Europa, ma anche in Germania, è che sia vera la seconda interpretazione.
LA BATTAGLIA DECISIVA
La battaglia decisiva Weidmann l’ha persa all’inizio di agosto, quando il board della Bce, con la sua opposizione, ha approvato il principio dell’intervento della Bce sui mercati. Infatti, nonostante i toni sempre più accesi, il presidente della Bundesbank, secondo la stampa tedesca, avrebbe già  fatto sapere che non intende impugnare giuridicamente la strategia di Draghi, pur essendo convinto che violi lo statuto della Bce. In effetti, questa è un’affermazione contestabile, tanto che acquisti di titoli di Stato sui mercati sono già  stati effettuati l’anno scorso. Il testo dello Statuto si limita ad affermare che «l’obiettivo principale» (ma non l’unico, quindi) della Bce è «il mantenimento della stabilità  dei prezzi» e che, fatto salvo questo obiettivo, l’istituto di emissione «sostiene le politiche economiche generali dell’Unione europea » e, specificamente, ne «definisce e attua la politica monetaria». Le norme europee, peraltro, vietano, come dice Weidmann, alla Bce di finanziare i bilanci dei singoli Stati, ma è questo il senso dell’intervento sui mercati annunciato da Draghi?
DUE LETTURE DIVERSE
In realtà , quelle che si confrontano a Francoforte sono due letture diverse della crisi in atto sui mercati del debito di Italia e Spagna. La lettura di Weidmann è nota: i Paesi mediterranei hanno condotto per troppo tempo una finanza allegra, hanno esagerato con i debiti, un intervento che li alleggerisca non risolverebbe i problemi di fondo e
finirebbe anche per rallentare gli sforzi per le necessarie riforme. La Bce, con queste cose, non c’entra. La realtà  che riconosce Draghi è diversa e la crisi che vede, qui ed ora, è una crisi, non dei debiti dei singoli Paesi, ma un collasso generale dell’euro. Lo spread fra i titoli tedeschi e quelli italiani e spagnoli è frutto, dice il presidente della Bce, di un effetto- panico, scatenato dalla percezione di un «rischio di cambio»: gli investitori chiedono interessi punitivi a Italia e Spagna, perchè temono che escano dall’euro e che in futuro verranno rimborsati in lire e pesetas. Il compito della Banca centrale europea è dimostrare, invece, che l’euro è «irreversibile».
LA TRINCEA DI WEIDMANN
Questa lettura di Draghi è, oggi, prevalente e, se Weidmann, in questi giorni, inasprisce la polemica è perchè avverte, intorno a sé, un isolamento sem-
pre maggiore, non solo in Europa, ma anche in Germania. A disertare la trincea di Weidmann sono, dice lo
Spiegel, le banche, grandi e piccole, preoccupate di veder svanire in fumo i loro portafogli di titoli di Stato mediterranei. Il risultato è che, pragmaticamente, il presidente della Bundesbank avrebbe già  assicurato alla Merkel che non intende mettersi di traverso e sabotare la strategia di Draghi. Ma è probabile che punti, soprattutto, a svuotarla, quando si dovrà  decidere tempi e dimensioni degli interventi. I critici, come Weidmann, degli acquisti dello scorso anno sottolineano che i risultati sono stati magri ed evanescenti. Tuttavia, non tutti i rastrellamenti di titoli sono uguali. Di solito, quelli condotti dalle banche centrali sono efficaci perchè gli istituti di emissione, che possono, alla bisogna, stampare moneta, sono in grado di proiettare quella «forza soverchiante» di cui parlava il generale Colin Powell, a proposito dell’invasione dell’Iraq.
IL GRANDE BAZOOKA
E’ il «grande bazooka» evocato dall’ex segretario al Tesoro americano, Hank Paulson: se è abbastanza grosso, non c’è neanche bisogno di sparare, perchè gli speculatori scappano. Ma se la banca centrale rinuncia al bazooka, lesina le risorse e si impegna, invece, in una sorta di guerriglia urbana, titolo per titolo, mercato per mercato, i costi possono essere alti e i risultati modesti. Questo è avvenuto un anno fa, quando Francoforte limitò al massimo i suoi interventi sui mercati italiano e spagnolo, evitando di renderli noti e di spaventare così gli speculatori. Come risultato, la Bce spese 211 miliardi di euro per rastrellare titoli, senza nessun effetto evidente. Il rischio è che la storia si ripeta. Weidmann può anche essere isolato nel criticare gli interventi, ma è probabile che trovi alleati nella proposta di limitare gli acquisti ai giorni delle aste o solo a tamponare situazioni di tensione anomala ed esasperata, quando gli spread schizzano verso l’alto, fuori controllo, piuttosto che ad eliminare, in via permanente, quel «rischio di cambio» di cui parlava Draghi. Il braccio di ferro è già  in corso, nei seminari tecnici che precedono la riunione, la prossima settimana, del board della Bce.


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