Siria, in fuga dalle bombe sulla via dei contrabbandieri “Ora è un esodo di massa”

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KILIS (Confine turco-siriano) — I più fortunati hanno trovato rifugio all’ombra di un gigantesco capannone di ferro arroventato dal sole. Gli altri, e sono così numerosi che con lo sguardo non riesci ad abbracciarli tutti, sono accampati alla meglio, al riparo di lenzuola e teloni di plastica, in una landa pianeggiante colonizzata dalle sterpaglie. Sono i siriani che fuggono da Aleppo e Idlib, città  che l’aviazione del presidente Bashar al Assad bombarda senza tregua da settimane: secondo gli esperti di Ankara, ammassati a questo valico, ce ne sono cinquemila; altri duemila sono bloccati alla frontiera di Bab Al-Hawa, un centinaio di chilometri più a sud. Tutti i campi allestiti lungo il confine dalle autorità  turche per chi scappa dalle violenze in Siria sono ormai pieni fino all’inverosimile. La fuga di questi disperati s’è arenata ai valichi di frontiera, per colpa di chi è fuggito prima di loro. In queste ore, altri sfollati, coloro che hanno soldi a sufficienza per affittare una casa ad Antakya, Reyhanli o Gaziantep, o che hanno parenti in grado di ospitarli in queste città  turche, e che quindi non necessitano di una tenda in un campo profughi, sconfinano illegalmente passando attraverso i buchi fatti dai contrabbandieri sulla rete di filo spinato che divide i due Paesi. Se ne incrociano diversi, di notte, sulle strade siriane verso il confine. In maggioranza donne e bambini, impreparati alla sia pur breve camminata notturna in aperta campagna, con le scarpe inadatte al suolo pietroso, o troppo carichi di pacchi e valigie, o ancora terrorizzati all’idea di imbattersi in una pattuglia di soldati turchi dopo essere passati indenni tra le maglie di quelli di Assad. È un esodo da una guerra civile sempre più cruenta. I ribelli ieri hanno denunciato l’ennesima strage dei lealisti: 42 cadaveri ammanettati a Ariha. Al valico di Kilis, ad assistere quest’umanità  in pena ci sono gli operatori della Mezzaluna rossa turca che distribuiscono cibo, acqua, materassi. Nel frattempo il governo di Ankara fa sapere che sta in tutta fretta allestendo altre strutture e che appena queste saranno ultimate gli accampati di Kilis e Bab Al-Hawa potranno gradualmente passare in Turchia. «Tra pochi giorni saranno inaugurati altri campi profughi che potranno accogliere 40mila persone. In questo modo salirà  a 120 mila persone la capacità  dei campi allestiti nel Paese», spiega Mustafa Aydogdu, portavoce dell’Agenzia turca per la gestione dei disastri e delle emergenze. Ma basteranno, si chiedono gli esperti? Il flusso verso la Turchia è infatti aumentato in maniera esponenziale, passando nell’ultimo mese dalle 500 alle 5mila persone al giorno. Secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr), il numero totale dei rifugiati siriani ha raggiunto quota 226mila. Questa cifra comprende sia chi ha già  lasciato il Paese, sia chi sta per farlo ed è in attesa di sconfinare nei quattro Paesi vicini: Giordania, Iraq, Libano e Turchia. Ovunque si rischia il peggio. È al collasso, per esempio, il campo giordano di Zataari, dove solo la scorsa settimana sono arrivate più di 10mila persone, il doppio della settimana precedente. «È un aumento drammatico e pensiamo che sia l’inizio di un esodo di massa», dice il portavoce dell’Unhcr, Melissa Fleming. Zataari era inizialmente predisposto per ospitare 500 persone: oggi ne accoglie 20mila, di cui due terzi sono bambini. La situazione è così grave, e le possibili conseguenze così nefaste, che sulle condizioni umanitarie in Siria si è tenuta ieri una riunione del Consiglio di Sicurezza al Palazzo di Vetro, presieduta dal ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius. È stata affrontata la spinosa questione della zona “cuscinetto” da delimitare in territorio siriano per proteggere le popolazioni in fuga. Per realizzarla vanno però superati due ostacoli di peso: la creazione di una parziale no-fly zone e, soprattutto, il veto del presidente siriano, che nell’intervista rilasciata due sere fa ha definito «irrealistica » la regione “cuscinetto”. L’appello che le Nazioni Unite hanno rivolto ai governi per aiutare gli sfollati siriani, e che ammonta a 193milioni di dollari, è stato finora finanziato per metà . Bisogna fare di più. Oggi, perciò, l’Unhcr lancia in Italia una campagna di raccolta fondi rivolta a cittadini, aziende, fondazioni. Cioè a tutti noi.


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