Sigarette e acqua minerale, gli instabili equilibri di bordo

by Editore | 2 Agosto 2012 11:09

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«Dalle cucine del castello del palazzo reale (di Napoli) piovevano resti animali, ossa, lembi di pelle, teste, zoccoli e soprattutto interiora di bestie varie, les entrailles che le popolane chiamavano la zantraglia. La gente attendeva la pioggia sanguinolenta nello spazio del porto antico mescolandosi ai mestieranti del mare. Quando finalmente i servi di palazzo iniziavano la distribuzione, una bolgia frenetica di braccia si contendeva i pezzi migliori….». Così comincia La zantraglia. I mestieri del mare al tempo dei container di Marcello Anselmo (Mesogea 2012, pp. 200, euro 14): da quel rito regale hanno preso il nome i portuali napoletani, la zantraglia appunto.
L’io narrante del libro si presenta come un impiegato prima portuale, addetto alla logistica dei carichi e scarichi dei cargo che arrivano nel porto di Napoli, poi per un breve periodo (che nel libro è saltato) come addetto alla logistica dello smistamento di terra della merci, nell’entroterra napoletano, poi come dipendente di una compagnia marittima a bordo di un cargo in servizio nel Mediterraneo, ingaggiato come supervisore del carico.
I container di Napoli avevano raggiunto una vasta notorietà  grazie a Gomorra nelle pagine in cui Roberto Saviano descrive i container cinesi nel porto. Ma il libro fondamentale per capire la rivoluzione del trasporto marittimo operata dai container resta The box. La scatola che ha cambiato il mondo di Marc Levinson (2006, traduzione italiana Egea 2007). Il libro di Marcello Anselmo non è un saggio ragionato come quello di Levinson, è piuttosto un mix tra reportage, diario di viaggio e ricerca narrativa. E non sono i container i veri protagonisti del libro, ma sono i «mestieranti del mare», dagli scaricatori di porto divenuti ormai operatori di carri ponti, gru e trattori dugmaster armati di benna, agli ufficiali del cargo a cui il capitano cerca invano d’insegnare a leggere il sestante e riconoscere le stelle e li esorta senza successo a essere «marinai, non marittimi».
È questa varia umanità  a bordo degli scafi, sulle darsene, nell’area extraterritoriale dei porti a risaltare con più forza dalle pagine de La zantraglia. L’egiziano Mustafa che «parla correntemente il napoletano, l’inglese, il francese e mastica il tedesco, il ras delle bancarelle di souvenir», che sale a bordo nel porto di Alessandria completo di tavolino e di aiutanti per esporre la sua mercanzia di ricordini che vende all’equipaggio; un portuale di Istanbul, un uomo avanti con gli anni, la barba lunga, che «porta a spasso una bandiera della jihad islamica stampata su un cappellino dalle fattezze inequivocabilmente americane» che dà  ordini ai portuali più giovani che invece «hanno piercing, cappelli alla moda, le loro divise sono personalizzate con una spilla, un orecchino o un foulard sbarazzino». E poi ci sono i tanti marinai filippini. Filippino è il timoniere (ma il timone non è più a forma di ruota con i pomelli), come filippino è il cameriere di bordo. E nei turni di notte nell’etere si diffondono gli insulti razzisti che gli equipaggi lanciano «nell’inglese con la cadenza dei paesi dell’est»: «Filippino monkey…».
Protagonisti sono gli uccelli che l’autore elenca meticolosamente, quelli che sorvolano la nave e quelli che ci si appollaiano per riposarsi durante la migrazione o in una pausa del loro diuturno pescare: «d’inverno stormi di aironi cinerini di garzette, di niticore, di anatre marzaiole, di canapiglie, di mestoloni dal capo verde, di codoni e di fischioni…Seguono le navi anche le pettegole, le avocette, le pavoncelle, le pernici di mare, e le beccacce marine…». Sono i piccoli particolari inattesi a colpire di più. Da quando è proibito portare alcol a bordo «tutti i membri dell’equipaggio diventano degli intenditori di acque minerali. D’altra parte il tempo dell’imbarco di ciascuno si può misurare attraverso il numero di bottiglie di plastica accumulate sotto i letti delle cabine, ognuna con un’etichetta diversa: acque italiane, turche, israeliane, belghe, In mare si diventa sommelier di acqua dolce. Le bottiglie si conservano perché sono tra i rifiuti che è vietato gettare fuoribordo, non tutti gli scarti sono uguali. Il mare è un’enorme discarica. I milioni di oggetti abbandonati, i relitti, le cose futili, minute o ingombranti smosse dalle correnti sotterranee sono i reperti di una possibile archeologia del moderno».
In tutto il libro i container sono una presenza costante, ma restano quasi sullo sfondo. «Ogni container è battezzato da una sequenza di lettere e numeri: CBHU-8366164561, YMLU-8341004561. Le prime tre lettere indicano la compagnia proprietaria, mentre il primo numero è il nome proprio del contenitore. Lettere e numeri denominano il pezzo di ferro, la mera scatola vuota, ma è la polizza a definire il carico, senza non si parte e non si arriva. È l’unico documento formale che dichiara la natura del contenuto, anche se di frequente accade che la realtà  dei fatti non corrisponda a ciò che è scritto».
Quello che davvero interessa a Marcello Anselmo è la zona grigia, i bottiglioni di vino campano portati di soppiatto a bordo, i traffici portuali regolati a colpi di stecche di Marlboro, le merci che non corrispondono alla bolletta di carico, immigrati al posto di scarpe, o carri armati invece che granaglie. La sua curiosità  si risveglia per gli storioni Beluga allevati nei Dardanelli e nel Mar di Marmara, le gabbie di allevamento tonni al largo di Lampedusa o vicino a Gibilterra, le bionde cassiere dell’est in un Duty Free di un porto israeliano. 
Ma Anselmo si appassiona soprattutto per il continuo mercanteggiare a bordo tra disciplina e manica larga: «La nave è l’ambiente in cui la gerarchia diventa tangibile, e perciò a bordo è il regno dei rancori, delle meschinità  e delle insofferenze. E gli ufficiali diventano il bersaglio su cui riversare le cause di ogni male…. ufficiali minacciati e accerchiati scendono a patti con i marinai infuriati, mentre comandanti troppo zelanti riscontrano piccoli atti di sabotaggio». Il tutto accompagnato da immancabili sigarette fumate in tute le situazioni, sulle murate, dentro la plancia, in cabina, sulla darsena.
Insomma La zantraglia è un libro che non solo si fa leggere, ma si fa anche ricordare, redatto su un registro dolente, percorso da uno struggimento indistinto. L’unico appunto è che per la civiltà  dei container il Mediterraneo è assolutamente marginale e i suoi porti sono inezie rispetto ai giganti non solo del Nord Europa, ma soprattutto asiatici. Studiare la civiltà  dei container nel Mediterraneo è come descrivere la giungla amazzonica osservando un giardinetto comunale. 
Il più grande porto di container nel Mediterraneo è Gioia Tauro dove transitano 3,4 milioni di unità  all’anno, Per Amburgo passano 7 milioni, per Anversa 7,2 per Rotterdam 9,7, ma per Hong Kong 20,9 milioni, per Shangai 25 e per Singapore 25,8. Quei porti e quei cargo ci direbbero davvero la civiltà  del container che rende possibile la globalizzazione. Ma forse per questo bisognerà  aspettare il prossimo imbarco di Marcello Anselmo su un cargo dell’ultima generazione capace di stivare 15.000 container in una volta sola (messi uno dietro l’altro fanno 90 km), magari dopo aver dato un taglio alle sigarette.

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