SENTENZA POLITICA

by Editore | 8 Agosto 2012 10:49

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Conferma il sequestro degli impianti, ma lo finalizza alla loro bonifica. Conferma il carcere per la famiglia Riva ma consegna l’impianto e il rispetto della sentenza al manager dei Riva, Ferrante. Si può dire che è stato tolto di mano ai padroni il timone, e si può anche dire che, comunque, il lupo è stato messo a guardia del gregge. Ma avrebbe potuto fare qualcosa di diverso, il Tribunale del Riesame?
Le pressioni sulla magistratura sono state pesantissime e agite da più parti, a cominciare dal governo Monti e dal suo irrefrenabile ministro Clini. La pressione più forte che grava sulle scelte della magistratura è quella oggettiva, perché un giudice dev’essere terzo ma terzo non vuol dire marziano. Decenni di inquinamento hanno compromesso la salute di un’intera popolazione e di un territorio delicato quanto eccelso. Ma intorno al mostro d’acciaio si è sviluppato uno dei principali poli industriali e occupazionali, la vita e la morte di Taranto si intrecciano profondamente. Della vita della città , però, in pochi si sono occupati. Certo non i carnefici, i padroni della più grande acciaieria d’Europa che hanno sempre e solo guardato al profitto, eludendo richiami e impegni, rendendo complici persino le loro vittime. I sindacati hanno impiegato troppo tempo a riprendersi la loro autonomia di giudizio e di azione, e non tutti l’hanno fatto contribuendo così ad allargare il fossato tra i lavoratori e la città .
Un giudizio su una sentenza come quella emessa ieri non può che essere sub judice: dipende dalla sua applicazione, da come si comporterà  Riva e dai soldi che investirà  per rendere tollerabile la presenza della fabbrica in città , e dipende naturalmente dai controlli. Ma le lavorazioni a caldo dell’Ilva dentro una città  possono essere compatibili con la vita e la salute dei cittadini e dell’ambiente? Se lo chiedevano le donne di Cornigliano finché non l’hanno spuntata, se lo chiedono i tarantini e prima o poi anche loro la spunteranno. Certo, chi oggi proponesse di mettere un altoforno nel cuore di Roma o Cagliari o Verona sarebbe considerato un pazzo. Non è stato così ieri a Napoli, a Genova e a Taranto e con i disastri di una politica industriale cieca dobbiamo oggi fare i conti, e non li si possono fare in un giorno. Quel che si può fare subito, invece, e si deve fare, è rovesciare i principi e i fini di una futura politica economica chiedendoci cosa, come e dove produrre nel rispetto di inappellabili vincoli sociali e ambientali.

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