Se nella crisi si riscopre il baratto Con gli scambi in piazza a Bruxelles

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BRUXELLES — Era l’ottobre del 2008 e il ministro del Commercio della Thailandia, il maggiore esportatore di riso al mondo, accarezzava l’idea di barattare il cereale con petrolio dell’Iran. Non se ne fece niente. Ma l’idea non era male. Se a livello macro è fallita, continua invece ad avere successo su scala micro. In tempo di crisi, puntuale rispunta il baratto, forma arcaica di scambio che precede l’invenzione della moneta e che nell’Europa sul baratro della recessione permette al cittadino comune di fare economia. Dopo il crash del ’29 non era difficile vedere scene di baratto sui marciapiedi di New York. E ancora prima, ai tempi della Rivoluzione russa, l’effetto del comunismo di guerra fu quello di favorire una forma di economia basata sul baratto. Tornando ai giorni nostri, è nei Paesi emergenti, come ad esempio il Vietnam, che il baratto è ancora diffuso. Ma nel Vecchio Continente, fino a poco tempo fa, era limitato ad esperimenti saltuari. Negli ultimi anni, complice anche il web, si sta diffondendo sempre più. In alcuni casi è una necessità  perché con lo stipendio non si arriva più alla fine del mese, in Spagna come in Grecia o in Italia, in altri casi si unisce alla scelta di uno stile di vita, come in Belgio. Ma se anche le imprese hanno cominciato a incrementare l’uso del cambio merci (il numero di piattaforme web che offrono il servizio è moltiplicato), vuol dire che la tendenza risponde a effettive esigenze economiche. A Madrid si sono diffusi negozi che offrono oggetti e abbigliamento di seconda mano che non sono venduti bensì scambiati: il cliente porta i propri oggetti, che gli danno diritto a dei punti che «spende» per prendere il prodotto, sempre usato, di cui ha necessità , senza mai aprire il portafogli. In Grecia il fenomeno ha anche un carattere di protesta nei confronti di una moneta, l’euro, che viene vissuta come la causa di tutti i mali. Il primo caso risale a un anno e mezzo fa: nella piazza principale del paese di Aigion, poco meno di 30 mila abitanti nella Grecia occidentale, è comparso il baratto, sotto lo sguardo vigile di un’associazione alla quale ci si deve iscrivere: lo scambio maggiore riguarda i beni di prima necessità . Pochi mesi dopo l’esempio è stato seguito da Patrasso, che ha optato per la piazza virtuale di Internet creando anche una moneta per gli scambi, l’obolo. Infine il porto di Volos in Magnesia, che con il baratto ha introdotto il Tem (sta per «unità  di scambio locale») in sostituzione dell’euro. Il network ha coinvolto più di 800 persone e ha come punto di ritrovo il mercato centrale della città . Lo scambio riguarda oggetti (dal cibo agli elettrodomestici) e servizi (dal babysittering all’imbiancatura). Anche qui il mercato ha una seconda vita sul web. La riscoperta del baratto non sta interessando solo i Paesi del Sud Europa, che lottano contro il fallimento a colpi di tagli agli sprechi e allo stato sociale. In Belgio il fenomeno è in espansione e sono oltre 7 mila gli aderenti al «Sistema di scambio locale», un movimento cittadino il cui principio di base è che ogni persona possiede delle competenze, dei mezzi o del tempo che può scambiare con gli altri senza utilizzare la moneta. Sel, questo è l’acronimo, all’inizio valorizzava soprattutto lo scambio di servizi mentre ora la metà  delle associazioni belghe ha introdotto lo scambio di beni, che ha preso anche la forma dei gruppi d’acquisto direttamente dal produttore (in questo caso però il pagamento è in euro). Anche in Italia il baratto sta avendo un nuovo impulso. Le prime banche del tempo risalgono alla fine degli anni 80, ma ora sempre più persone vi fanno ricorso per poter risparmiare e Internet è un ottimo volano (le piattaforme web sono numerose, ad esempio zerorelativo.it oppure weexchange.it). Ci sono poi le associazioni e in alcuni casi anche le amministrazioni comunali. Da anni Torino sostiene le giornate del baratto e di recente a Roma alcuni comitati di quartiere hanno aperto su Facebook gruppi per lo scambio di oggetti. Ma pure nella ricca Svizzera esistono servizi simili: dal 1997 è operativa in Ticino l’associazione «Scambio di favori». Che sia davvero possibile vivere senza euro? Francesca Basso


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