Se contro la Fibrosi in Italia Resta Soltanto l’Aborto

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Non vollero però smettere di aver figli: avrebbero fatto come si fa in Francia e in Germania, in Portogallo e nei Paesi Bassi, in Gran Bretagna e in Grecia: generare embrioni in vitro, diagnosticarne lo stato di salute e impiantare gli embrioni sani in vista della gravidanza. La legge 40 del 2004 sbarrava loro la strada. Inutilmente nel 2005 dieci milioni di italiani avevano votato contro il divieto; grazie ai 37 milioni di astenuti il referendum era fallito. La coppia non si rassegnò ad una delle cinque vie lasciate aperte dalla legge italiana: non procreare più; adottare; rischiare di procreare nuovi figli affetti da fibrosi cistica; abortire in caso di feto malato; recarsi in Spagna, Belgio, Repubblica Ceca o Slovacchia, seguendo le orme di tanti italiani. I due portarono invece la loro battaglia a Strasburgo, battendosi per un diritto riconosciuto ovunque nell’Europa occidentale, tranne in Austria e Svizzera. Ieri, un unanime collegio di sette giudici ha condannato l’Italia. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, la coppia non rivendica, come sostenuto dal governo Berlusconi, un «diritto ad avere un figlio sano». Vuole piuttosto poter ricorrere alla medicina perché nasca un figlio non affetto da fibrosi cistica, restando sempre possibile ogni altra patologia. La richiesta dei genitori di accedere alla procreazione in vitro e alla diagnosi preimpianto, ha concluso la Corte, è protetta dal diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dalla Convenzione europea. Di qui la condanna a Strasburgo di quella che i giudici europei definiscono la «incoerenza» italiana: consentiamo l’aborto di un feto affetto da fibrosi cistica, ma vietiamo la selezione degli embrioni non colpiti da quella patologia; nel 2004 gli apprendisti stregoni nostrani hanno cucinato un diritto che imponesse a tutti la loro morale; ci ha collocato ai margini della bioetica europea, quel brodo di ipocrisie e incongruenze.


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