Sanzioni a Teheran, inchiesta su Unicredit

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Anche una banca italiana, per colpa di una controllata tedesca, finisce nel mirino delle autorità  Usa per un caso di presunto riciclaggio di dollari Usa con Teheran. Secondo il Financial Times, che cita persone vicine all’inchiesta, Unicredit sarebbe stata inclusa in una lista di banche internazionali messe sotto inchiesta per aver aggirato le sanzioni con l’Iran imposte dagli Usa. Oltre all’embargo sul greggio, Washington ha varato restrizioni anche sulle transazioni finanziarie delle banche iraniane. Al momento starebbero indagando su Unicredit il procuratore di New York, il dipartimento del Tesoro e anche il dipartimento di Giustizia. L’inchiesta, nello specifico, riguarderebbe una sua controllata tedesca, la HypoVereinsbank (Hvb) ora denominata Unicredit Bank Ag. 
Unicredit, il primo istituto bancario italiano per asset in Italia, nei suoi ultimi bilanci aveva già  reso noto di stare collaborando con le autorità  Usa per una possibile violazione delle sanzioni che proibiscono di fare affari con certi Paesi, senza tuttavia indicare di quali si trattasse. «La questione non è nuova», fanno infatti sapere da Unicredit. Il fatto, in effetti, era già  menzionato in tre documenti: nella relazione finanziaria annuale consolidata 2011, la semestrale al 30 giugno e il prospetto per l’aumento di capitale. In particolare, sul bilancio 2011 a pagina 426 si legge: «È in corso una crescente attività  di controllo nel settore delle istituzioni finanziarie, specialmente da parte delle autorità  statunitensi, con riferimento all’antiriciclaggio, al contrasto del finanziamento al terrorismo e all’irrogazione di sanzioni economiche per garantire il rispetto delle disposizioni legislative in tali settori. L’Ofac (Office of foreign assets control) è competente con riferimento alle leggi e ai regolamenti statunitensi aventi a oggetto le sanzioni economiche previste per determinati Paesi esteri, cittadini e altre entità . Una società  del gruppo sta attualmente rispondendo a un third party fitness subpoena pervenuto dal New York County District Attorney’s Office in relazione a un’indagine in corso riguardante alcuni individui e/o entità  ritenuti responsabili di condotte sanzionabili. La società  del gruppo Unicredit coinvolta ha comunicato all’Ofac le informazioni fornite al District Attorney’s Office ed è in corso un confronto con tali autorità  e sta cooperando pienamente. Inoltre, tale società  sta conducendo una revisione interna dei conti e delle operazioni oggetto di indagine». Stesso riferimento è fatto nella semestrale 2012 a pagina 230 e nel prospetto relativo all’aumento di capitale nel capitolo intitolato «Rischi connessi ai procedimenti giudiziari in corso e agli interventi dell’autorità  di vigilanza» a pagina 95.
La novità  sta nel fatto che adesso si sa — in base al Financial Times — che il Paese in questione è l’Iran. Il coinvolgimento potrebbe costare caro alla banca italiana, che — sempre nei documenti di bilancio — ammette che «allo stato non è possibile prevedere l’esito di tale indagine, ivi inclusi i tempi e il potenziale impatto finanziario che potrebbe avere sui risultati operativi della società  in futuro». Unicredit, infatti, è tenuta a rispettare una serie di regolamenti se vuole operare sul mercato americano (altrettante regole devono essere rispettate dalle banche Usa per operare in Italia). In caso di violazione, le autorità  americane potrebbero ritirare la licenza a Unicredit oppure comminarle una multa per evitare questa punizione. Per lo stesso motivo, all’inizio di agosto la banca britannica Standard Chartered, finita nel mirino delle autorità  Usa sempre per transazioni finanziarie con Teheran, ha accettato di pagare una sanzione da 340 milioni di dollari (oltre 270 milioni di euro). Il tema, negli Stati Uniti, è molto caldo: il mese scorso il Senato Usa ha puntato il dito contro la banca britannica Hsbc, accusata di riciclaggio per aver realizzato 16 miliardi di dollari di transazioni con l’Iran nel periodo 2001-2007.


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