Petrolio, record storico della quotazione in euro altro “regalo” della crisi

by Sergio Segio | 19 Agosto 2012 8:18

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PER i consumatori europei, il petrolio non è mai stato così caro, neanche nel luglio 2008, quando le quotazioni del greggio (147 dollari a barile) sembravano aver sfondato ogni limite. ALLORA, all’immediata vigilia della grande crisi finanziaria che avrebbe travolto le economie occidentali e che, secondo alcuni, fu scatenata proprio dall’impennata del greggio, la quotazione del barile era di 93,46 euro. E, mentre in dollari il petrolio non è mai più tornato al record di quattro anni fa, in euro il record era già  stato battuto nel febbraio scorso, con 93,60 euro. Ma, questa settimana, anche quel livello è stato superato: il 15 agosto il Brent (il greggio di riferimento per il mercato europeo) ha toccato i 94,83 euro a barile. E’ sceso appena a 94,13 euro il giorno successivo, per attestarsi alla chiusura dei mercati di venerdì, a 92,18 euro, sotto il record, anche se con una quotazione ancora altissima, che sta ridando fiato ai margini di guadagno delle raffinerie. La differenza con gli anni scorsi la fa, naturalmente, il rapporto di cambio con il dollaro, che è la moneta in cui viene fissato il prezzo del greggio. Nel 2008, l’euro era molto forte, con una quotazione fra 1,30 e 1,40 dollari. In quei mesi, gli europei hanno usufruito del cambio favorevole per assorbire più facilmente degli americani l’impennata del barile. Oggi, la situazione si è rovesciata: l’ascesa del prezzo del barile (in dollari) è amplificata dalla contemporanea discesa del cambio con il dollaro, ridotto a 1,20. Insomma, il deprezzamento di circa il 15 per cento dell’euro, trascinato nella spirale della crisi del debito pubblico di molti paesi europei, rispetto al dollaro, ha automaticamente alzato, nella stessa misura, la quotazione del barile nella moneta comune europea. Ma questo spiega solo in parte l’ultimo balzo del greggio, il cui prezzo è cresciuto, nelle ultime otto settimane, non del 15, ma del 30 per cento. Anche nella valuta americana, la quotazione del Brent è tornata a 117 dollari, il livello del maggio scorso. E questo se lo aspettavano in pochi. L’economia mondiale – la variabile fondamentale per spingere in su o in giù il barile – è infatti debole: l’Europa è in crisi, gli Stati Uniti non decollano e le economie emergenti hanno rallentato la loro corsa. Ci sono tutti gli ingredienti per un declino della domanda e, dunque, dei prezzi. Invece, non è così. La domanda cresce. Nel suo ultimo bollettino sul petrolio, la Iea, l’Agenzia internazionale per l’energia, una branca dell’Ocse, l’Organizzazione dei paesi sviluppati, ha rivisto al rialzo le sue previsioni per la domanda 2012, stimando un aumento di 900 mila barili al giorno rispetto al 2011, più vicino al trend storico, che, negli ultimi 10 anni, ha visto la domanda mondiale aumentare ogni anno di 1,1 milioni di barili al giorno. Chi ci sia dietro questi consumi la Iea non lo sa: si limita a indicare “nicchie di rinnovata intensità  della domanda”. Ma il problema è che questi consumi più vivaci del previsto si incontrano con vecchie e nuove strozzature della disponibilità  di greggio. Molte piattaforme, nel Mare del Nord (l’area da cui proviene il Brent) hanno fermato la produzione per operazioni di manutenzione. In più, i paesi europei, entro la fine dell’anno, in base ad una direttiva di Bruxelles, devono rimpolpare le loro riserve di greggio, benzina e gasolio, portandole all’equivalente di 61 giorni di consumi. A queste difficoltà  logistiche, si aggiungono le grandi incertezze geopolitiche, come l’impatto delle sanzioni americane ed europee contro l’Iran che sta rendendo più difficili i flussi internazionali di petrolio. E, soprattutto, il rischio di un conflitto Gerusalemme- Teheran, che farebbe esplodere il Medio Oriente. A guadagnarci, per ora, non sono soltanto gli sceicchi, ma anche gli industriali del settore. L’impennata dei prezzi e la domanda sostenuta hanno ridato fiato, infatti, anche ai settori a valle del greggio. Le raffinerie europee hanno potuto raddoppiare i margini di ricarico dei prezzi di benzina e gasolio, rispetto al prezzo del greggio: secondo il Financial Times, questi margini sono passati, in media, in Europa, dai 7,60 dollari a barile di gennaio a 13,20 dollari in questi giorni. L’effetto, tuttavia, dovrebbe essere solo temporaneo. Il cuore dell’estate, infatti, è il momento di picco dei consumi di benzina e gasolio, con milioni di macchine in giro per le strade europee, mentre, in Medio Oriente, le centrali elettriche consumano il massimo di combustibile per alimentare i condizionatori. A settembre, la situazione dovrebbe progressivamente normalizzarsi. Se gli sviluppi geopolitici, o nuove difficoltà  logistiche non lo rendessero possibile, l’impatto sulla fragile economia europea sarebbe devastante. In particolare in Italia, che è uno dei paesi tradizionalmente più esposti al prezzo del petrolio, anche solo per il ruolo cruciale del trasporto su gomma nella distribuzione delle merci e, dunque, nei prezzi finali. Una ripresa d’inflazione o, comunque, un aumento di costi, in una fase che è già  di declino dei consumi, allontanerebbero nel tempo una ripresa economica, già  oggi sfuggente.

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