Perché va combattuto l’uso del contante

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V ent’anni passati dentro i problemi dei cittadini comuni mi hanno insegnato che un Paese cambia quando loro, i cittadini, comprendono le ragioni di ciò che gli viene chiesto di fare. L’azienda chiude, il negozio non vende, una generazione non trova lavoro, un’altra non incassa né pensione né stipendio. Forse crollerà  l’euro, ma loro non comprendono dove hanno sbagliato e non hanno gli strumenti per scegliere una classe dirigente che metta il cittadino al centro del processo economico. Sappiamo di avere la pressione fiscale più alta del mondo (per alcuni imprenditori onesti arriva al 70%), e la nostra economia sommersa comporta un’evasione annua di 154 miliardi di euro. Qualche mese fa un alto funzionario dell’Agenzia delle Entrate mi disse: «Se il commerciante o il piccolo imprenditore dovesse pagare per intero il dovuto, sarebbe costretto a chiudere». Quindi se non si abbassano le tasse non se ne esce, ma come fai a diminuirle con il debito che ci troviamo sulla testa? La riduzione degli sprechi e la razionalizzazione della spesa dovrebbero procedere parallelamente ad un piano di crescita, che non c’è, sulla quale il ministro dello Sviluppo Passera sembra piuttosto attivo; ma farebbe bene ad evitare possibili conflitti di interesse con attività  detenute dai propri parenti. In sostanza per sfuggire alla morsa della speculazione e creare posti di lavoro ci servono tanti soldi! Le soluzioni finora individuate porteranno alle casse dello Stato 2,5 miliardi qui, 4 miliardi là … il resto è tutto da vedere e i tempi sono lunghi. I posti di lavoro saltano fuori investendo e abbassando le tasse, ma il premier Monti ha detto «non se ne parla», ovvero: la copertura non c’è. Secondo la Banca d’Italia l’evasione è il principale freno alla crescita poiché i mancati introiti impediscono al Tesoro di pagare tassi d’interesse dimezzati rispetto al 5,8% medio, distorcono la competitività  del mercato e ci fanno rischiare il default. Befera ha precisato che la maggior parte dell’evasione avviene grazie all’uso del contante e che la microevasione ha grandi dimensioni.
Allora forse si può aggredire il problema rendendo sconveniente l’uso del denaro! E attorno a questa possibilità  sto da tempo portando avanti una proposta che potrebbe portare in tempi rapidi al recupero di quei 154 miliardi di sommerso. La strada sarebbe quella dell’eliminazione dell’uso eccessivo del contante. Un suggerimento che il premier Monti qualche mese fa aveva trovato degno di considerazione, ma poi è finita lì. I soli rilievi a me noti, sono quelli inviati da Francesco Lippi, professor of Economics all’Università  di Sassari & EIEF, al governatore Visco. 
A parte l’errato paragone con l’inflazione, Lippi sostiene che il problema dell’evasione non deve ricadere sul comportamento dei cittadini; «la Guardia di Finanza faccia più controlli!». Giusto, ma basta documentarsi sul numero di persone che lavorano alla Guardia di Finanza, per capire l’esiguità  dei controlli che possono fare. Evidente poi è l’iniquità  degli studi di settore. Incrociare gli archivi dati dei beni posseduti con quelli dei redditi è utile, ma può essere fatto solo sulle grandi incongruenze, negli altri casi genera perlopiù ingiustizie e gravi distorsioni economiche. Viste le scarse risorse, sarebbe forse più opportuno concentrarle sul riciclaggio, sulle false fatturazioni, sull’elusione, insomma sulla faccia più organizzata della piaga. 
È vero che le carte di pagamento a debito, credito e smartphone sono meno diffusi in Italia che in altri Paesi, ma per il 15% delle famiglie che ancora non hanno un conto corrente cosa facciamo? Le lasciamo senza? Oppure diamo a queste persone accesso ad un conto corrente allo stesso costo che viene sostenuto per l’utilizzo del contante? Se per molti cittadini è insormontabile la scarsa dimestichezza con l’uso delle carte, come faranno ad affrontare le nuove regole della Pubblica amministrazione che prevede ogni comunicazione con i cittadini solo tramite e-mail? Tre anni fa, mezzo milione di poveri hanno avuto la «Social card»: il problema era procurarsela, non come usarla. 
Il professore di Economia ricorda che in quasi tutta Europa l’evasione fiscale è più bassa nonostante l’alto utilizzo di contante. Questo prova che in Italia abbiamo un problema molto grave e di massa. Sostiene che il pagamento tutto tracciabile comporta un incremento di costi e burocrazia per banche, imprese e famiglie. Per quel che riguarda le banche né il deposito, né il prelievo procurerebbero alcun aumento di burocrazia, ma solo più bit da archiviare in hard disk acquistabili a 100 euro al terabyte. Per quel che riguarda le imprese è incontestabile che sia più comodo ed efficiente, se non intendano evadere, pagare con assegni, bonifici o carte piuttosto che in contanti. Lo stesso vale per la Pubblica amministrazione. Il punto nodale è il costo delle transazioni, oggi troppo alto, ma il governo ha il potere (e il dovere) di imporre alle banche di ridurre il costo dell’utilizzo di mezzi tracciabili, fino a renderlo equivalente a quello del contante. E sarebbe ora visto che paghiamo le commissioni interbancarie fra le più alte d’Europa.
La mia proposta prevede che venga resa obbligatoria per chi svolge attività  commerciale la postazione pos per accettare bancomat e carte di credito. Ma come fare a rendere preferibile un pagamento tracciabile? Applicando a tutti i prelievi e depositi di contante una tassa del 33%, che però viene contemporaneamente restituita sotto forma di sgravio fiscale, per i primi 150 euro al mese a testa, quello che serve cash per le piccole spese quotidiane, come l’autobus, il giornale o il parcheggio. Sono 50 euro che ogni cittadino, ogni mese, ha in più se è stato così bravo da pagare tutto in modo tracciabile. Una tassa quindi che nasce per essere evitata, la cui ricaduta non può che essere l’emersione del sommerso. È ragionevole supporre che dei 154 miliardi evasi, lo Stato possa incassarne un centinaio entro i primi 12 mesi. Risorse con le quali abbassare subito l’Irpef, eliminare un tassa ingiusta come l’Irap e saldare i conti con le migliaia di aziende che stanno fallendo perché la Pubblica amministrazione non le paga, oltre ad abbassare il debito ben più che con le pianificate dismissioni. Tutto questo potrebbe essere possibile senza togliere servizi o inventarsi altre tasse, alle quali il popolo degli onesti e meno abbienti non potrà  sfuggire, come ora sta avvenendo. Si innescherebbe il meccanismo virtuoso della concorrenza leale, e per gli evasori incalliti sarebbe più complicato aggirare i controlli sui depositi. Il farmacista o il dentista può anche continuare a non darti lo scontrino o la fattura, ma se a fine anno dichiara 100 euro e in banca ne sono transitati 1.000, l’Agenzia delle Entrate gli può dire «spiegami». 
Il professor Lippi, nelle sue considerazioni inviate al governatore della Banca d’Italia, usa parole generose per qualificare la mia dedizione al lavoro, però mi invita a non occuparmi di macroeconomia perché non ci capisco niente. È vero, non ho nessuna competenza specifica, ma non vedo proposte che vadano oltre i proclami. Le menti aperte e prive di pregiudizi, dovrebbero cogliere gli spunti che provengono anche da altri ambienti, ed entrare nel merito, prima di decidere se val la pena di considerarli o buttarli via. Non c’è dubbio che una svolta del genere presuppone un cambiamento culturale, ma la cultura è un concetto molto ampio. Per anni si è detto che l’India avesse una cultura incompatibile col successo economico, oggi la cultura probabilmente è rimasta la stessa, ma è cambiata la politica economica, e non si può più dire, riferendosi agli indiani: «Tasso di crescita indù». 
Monti invita i giornalisti a non chiamare «furbi» gli evasori. Li chiameremo più propriamente «ladri», o ancor meglio «criminali», perché portano un Paese intero al fallimento. Criminali però non si nasce, è facile diventarlo se ti ritrovi con la più alta pressione fiscale al mondo. «La principale verità  liberale è che la politica può cambiare la cultura e salvarla da se stessa», scrive Daniel Patrick Moynihan. Cosa impedisce quindi di ragionare attorno alla possibilità  che il cittadino, messo di fronte ad una scelta che gli porta solo vantaggi, non possa essere in grado di cambiare le proprie abitudini? Ricordo che solo tre categorie umane non possono fare a meno del contante: lo spacciatore, il delinquente, l’evasore. Categorie alle quali non sta certamente a cuore il futuro del Paese nel quale vivono, ma che sono evidentemente molto ben protette. Certo il rimedio è estremo, ma anche la situazione lo è.


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