Obama: avanti nella difesa dell’euro

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NEW YORK — «Bernanke ha passato la palla a Draghi e gli ha detto: questa volta segna tu». La battuta che girava ieri a Wall Street dopo la decisione della Fed di ostentare una maggior propensione «interventista», ma senza avviare subito un’altra manovra di acquisto di titoli sul mercato, riflette il clima olimpico che in questi giorni ha contagiato anche i «trader». Questo lasciarsi andare a battute scherzose e non particolarmente originali rispecchia, però anche — e forse soprattutto — il sollievo del mondo finanziario per il fatto che il mancato intervento della Federal Reserve è stato digerito senza grandi difficoltà  dai mercati: una delusione che, per adesso, non ha fatto danni sul terreno delle quotazioni.
Certo, l’attesa ora è tutta concentrata sulle decisioni che verranno prese oggi dalla Banca centrale europea, anche perché Mario Draghi non ha nessun altro a cui «passare la palla». Un’attenzione spasmodica rispecchiata dalla prudenza delle Borse europee, con Milano e Londra che ieri hanno chiuso in rialzo (di poco quella italiana mentre nella City le cose sono andate meglio) e Francoforte e Madrid che, invece, hanno registrato un ribasso, sia pure limitato a qualche decimo di punto.
Sempre preoccupatissimo per le sorti dell’euro e per l’impatto che una frana delle economie del Vecchio continente potrebbe avere sugli Usa, Barack Obama, dopo aver inviato il ministro del Tesoro Tim Geithner in missione in Germania, ieri è tornato a consultarsi coi leader europei. E, in un comunicato emesso dalla Casa Bianca dopo un colloquio col presidente francese Hollande, Obama ha voluto ribadire il suo caloroso apprezzamento «per la recente dichiarazione della Banca centrale europea e dei leader europei sulla necessità  di preservare l’eurozona nella sua interezza e ha incoraggiato il loro sforzo di mettere in campo azioni decisive».
Dopo la sortita della scorsa settimana nella quale Ben Bernanke, il capo dell’autorità  monetaria Usa, aveva dato l’impressione di essere pronto ad agire, la «frenata» di ieri della Federal Reserve avrebbe anche potuto innescare una reazione negativa a Wall Street. Invece, in una giornata segnata da uno strano incidente tecnologico che all’inizio delle contrattazioni ha coinvolto quasi 150 titoli schizzati in alto e poi in basso in modo anomalo, lo Stock Exchange ha tenuto: prima della pubblicazione del documento dei governatori della Fed l’indice Dow Jones guadagnava 30 punti. Subito dopo l’indice è andato sotto di 40 punti. Poi è tornato di segno positivo, per concludere alla fine a meno 31 (-0,25%): comunque movimenti minimi.
Reazione blanda quella dei mercati, con gli operatori che ieri hanno discusso soprattutto dell’incidente — forse un problema a un «router» o un malfunzionamento di un algoritmo di una società  di trading — che in mattinata ha provocato non poche fibrillazioni. Poi i fantasmi del «flash crash» del maggio 2010 quando tutto il mercato crollò quasi del 10 per cento per un problema tecnico, sono stati ricacciati indietro. Del resto già  da un paio di giorni gli analisti avevano capito che, come abbiamo scritto ieri, la Fed, pur decisa a fare di più dopo la raffica di dati negativi sulla congiuntura arrivati nei giorni scorsi (rallentamento della crescita, frenata dei consumi e anche un’inflazione fin troppo bassa), intendeva rinviare a metà  settembre l’intervento di «quantitative easing» ventilato nei giorni scorsi: un’immissione di nuova liquidità  sul mercato attraverso l’acquisto di obbligazioni immobiliari e titoli del Tesoro per un ammontare che potrebbe essere di 650 miliardi di dollari.
La Fed si mostra preoccupata per un rallentamento della congiuntura maggiore di quello che era stato stimato nei mesi scorsi, avverte che la disoccupazione non è destinata a ridursi in misura significativa nei prossimi mesi, si dichiara pronta a prendere misure aggiuntive per «sostenere la ripresa economica e il mercato del lavoro in un contesto di stabilità  dei prezzi» ma intanto, in concreto, conferma solo la determinazione a mantenere il costo del denaro agli attuali «livelli straordinariamente bassi» (il cosiddetto «money for nothing») almeno fino alla fine del 2014.


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