NON SI ESCE COSàŒ DALLA CRISI

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I beni da vendere appartengono a quattro categorie. I beni culturali, e cioè i gioielli che rappresentano la storia e il prestigio del nostro paese, luoghi spesso a disposizione di tutta la popolazione. Beni che sono alla base di uno degli articoli fondamentali della prima parte della Costituzione verranno svenduti senza remore: non ce lo possiamo permettere più, secondo la religione dei professori. Vedremo che dirà  al riguardo il Presidente della Repubblica che in passato ha richiamato all’intangibilità  delle radici culturali dell’Italia.
Il secondo gruppo appartiene ai beni strumentali, cioè a tutte quelle proprietà  che tuttora ospitano una funzione pubblica. Si tratta di servizi scolastici, sanitari e sociali, di uffici che formano la sempre più debole trama pubblica delle nostre città . È evidente che la loro alienazione provocherà  un ulteriore passo indietro per milioni di cittadini che vedranno cancellati preziosi servizi e la rete civica di convivenza. Il terzo gruppo appartiene ai (non tantissimi) beni non in uso: caserme dismesse, ospedali già  soggetti alla forbice dei ragionieri, scuole ubicate in aree in cui la popolazione giovane è merce rara. Beni su cui in linea generale è difficile non convenire sul fare cassa. Ma non a tutti i costi. Le pubbliche amministrazioni spendono ingenti quantità  di denaro per affitti di immobili privati. Alcune scuole sono vecchie e fatiscenti. Decine di migliaia di famiglie nelle grandi città  vivono in grave disagio abitativo. Perché non si redige un piano di rientro dalle esposizioni per affitti passivi utilizzando anche a fini sociali gli immobili pubblici dismessi? Rischiamo una nuova beffa, come per la vendita degli alloggi degli enti pubblici, appannaggio a quattro soldi anche di ministri in carica.
L’ultimo gruppo è un’ulteriore sottolineatura della natura non tecnica del governo in carica. Un anno fa la stragrande maggioranza dei cittadini italiani si è espressa sul mantenimento di alcune prerogative in capo ad aziende pubbliche: questo è il senso inequivocabile del referendum sull’acqua. Ma il quarto segmento della svendita è rappresentato proprio dai beni di proprietà  della aziende municipalizzate. Un colpo micidiale alla cultura dei beni comuni. La folle dottrina liberista, dopo aver provocato la crisi a partire dai mutui subprime statunitensi e averla aggravata con la bolla immobiliare spagnola, vuole continuare a guadagnare sulle macerie. La svendita del patrimonio immobiliare pubblico non avrà  alcun effetto per far uscire il paese dalla crisi economica. Servirà  a far quadrare i bilanci di molti istituti di credito e fondi speculativi che a parole si dice di combattere. E servirà  a far arretrare le vite di coloro che fin qui «hanno vissuto sopra le loro possibilità », come dice il professor Monti. Obiettivo da raggiungere anche svendendo le radici del nostro paese


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