Niente crescita all’orizzonte

by Sergio Segio | 31 Agosto 2012 15:38

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Sì, sì, fate pure i vostri vertici per decidere chi è che comanda in Europa, ma siamo noi a dettare il trempo della musica per farvi ballare. Sembra questa la non sottile ironia con cui ieri mattina ha fatto irruzione sui mercati il consueto rapporto di Moody’s sulla situazione economica globale. L’Italia è stata sistemata molto rapidamente: quest’anno il prodotto interno lordo (Pil) arretrerà  tra un minimo del -1,5 e un massimo del -2,5%, se non ci saranno peggioramenti negli ultimi quattro mesi. Ad aprile le stime erano meno disastrose, oscillando tra il -1 e il -2%. Di “crescita”, anche per il prossimo anno e nonostante tutti i decreti appositi del governo (cresci-Italia, decreto sviluppo, ecc.), neppure l’ombra dell’ombra. Il rischio è dunque quello di ritrovarci con i conti un po’ più in ordine, ma con la casa che va a fuoco. L’unica consolazione è che non siamo soli. Tutta l’Europa è vista sostanzialmente in recessione (anche la Germania vedrà  azzerarsi a breve la sua flebile spinta). Ma quel che più conta nel gioco globale della “crescita” è che i paesi emergenti stanno rallentando seriamente, molto più del previsto. Il Brasile, per dirne una, sta già  correndo ai ripari: ieri ha tagliato i tassi di interesse di mezzo punto, portandoli al 7,5% (che a noi sembra tantissimo, ma lì debbono fare i conti con un’inflazione molto alta) nel tentativo di restituire un po’ di dinamismo all’attività  economica. Come al solito, l’agenzia di rating disegna “scenari”, illuminando anche sui rischi maggiori che potrebbe spezzare l’incerto equilibrio della crescita attuale. Per il momento sono quattro: una recessione più grave del previsto nell’area euro (specie se dovesse irrigidirsi la stretta creditizia già  evidente), un rallentamento ancora più brusco nei Brics (Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica), un improvviso «shock dei prezzi petroliferi» (se Israele attaccherà  l’Iran) e il rischio di una stretta fiscale negli Stati Uniti (ma questo è un avvertimento interno agli Usa, oltre che un endorsement per Romney). Ma è senza dubbio l’Europa il malato più grave; e comunque è quello che si trova già  sul lettino. Se le tensioni sul debito pubblico italiano sembrano per il momento sopite, la Spagna si trova invece ogni giorno un po’ più dentro il baratro finanziario. Dopo la Catalogna, che due giorni fa ha ufficializzato allo stato centrale una richiesta di aiuti immediati per oltre 5 miliardi, ieri anche la regione di Valencia ha fatto altrettanto, e per una cifra simile (4,5 miliardi), immediatamente seguita dalla Mursia. Il Fondo di liquidità  delle regioni (Fla), appositamente creato da Madrid, dispone però soltanto di 18 miliardi; e si sa già  che chiederanno di ricorrervi anche Castilla-La Mancia, Baleari, Canarie e Andalusia. Oltre alla dimensione delle cifre, c’è anche il problema dei tempi. La Catalogna si dice impossibilitata a far fronte alle scadenze immediate (5,775 miliardi di debiti che arrivano a scadenza entro l’anno), se da Madrid non ci sarà  una risposta altrettanto rapida. Per lo spread tra i Bonos iberici e i Bund tedeschi è stata perciò una giornata di arrampicate: è salito fino a 525 punti, con un rendimento totale al 6,58% (pericolosamente vicino a quel 7% considerato la soglia di non ritorno, stile Grecia). Comprensibile dunque il grido di dolore lanciato da Mariano Rajoy dopo l’incontro a Parigi con Francois Hollande: «Le differenze tra i tassi a cui si rifinanziano gli Stati della zona euro sono inaccettabili». Ha però trovato orecchie attente, visto che almeno il premier francese, contrariamente a quanto pensa la Bundesbank, ritiene che «l’intervento della Bce è giustificato quando il livello degli spread è economicamente ingiustificato»; anche se è Madrid a dover decidere «sul principio e sul metodo» di una richiesta di aiuto. Fin qui rimandata per non dover subire un “trattamento greco” dalla troika, nella speranza che la Bce cominci già  la prossima settimana ad acquistare titoli di stato. Per calmare la crisi del debito pubblico, tutta l’Europa cerca “investitori forti” disposti ad acquistare bond continentali (e possibilmente non solo quelli tedeschi). La missione di Angela Merkel a Pechino sembra aver ottenuto almeno questo risultato. Wen Jabao ha promesso che la Cina continuerà  a sostenere i titoli pubblici europei; naturalmente «a patto che la Grecia rimanga nell’euro» e che Spagna e Italia continuino a fare «riforme strutturali». Pure loro…

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