by Editore | 27 Agosto 2012 11:03
PARMA – Li chiamano “neuroni specchio”, e rappresentano una scoperta ricca di conseguenze psicologiche, filosofiche e sociali. Sono neuroni funzionanti da motori della partecipazione, nel guardare i movimenti e le reazioni emotive di un altro individuo, dei medesimi centri cerebrali che si attiverebbero se noi stessi ne fossimo i protagonisti. Tale immediata empatia, esplicitamente “corporea”, è estendibile al campo minato dell’amore?
Giriamo la domanda a Giacomo Rizzolatti, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma. Bello fantasticare, prima d’incontrarlo,
su quello che potrebbe essere l’aspetto di uno scienziato geniale (di Rizzolatti s’è parlato spesso, negli ultimi anni, come possibile premio Nobel), e trovare un personaggio totalmente adeguato alle nostre aspettative. Capelli bianchi e mossi da troppe idee, occhi spiritosi e acuti, aria volatile di chi si aggira in qualche stratosfera inattingibile, Rizzolatti è il celebrato capofila della rivelazione dei “neuroni specchio”, con tutto il loro gran bagaglio di ricaschi in ambito relazionale. Scoperti nei primi anni Novanta, testimoniano le ragioni fisiche del riconoscimento degli altri, delle loro azioni e persino delle loro intenzioni.
Professor Rizzolatti: prima di applicare i “neuroni specchio” al territorio dell’amore, può spiegarne in parole povere il significato?
«I neuroni specchio si trovano nelle aree motorie, e descrivono l’azione altrui nel cervello di chi guarda in termini motori. Fino a non molti anni fa, si riteneva che il sistema motorio producesse solo movimenti. Noi, partendo da un approccio etologico, senza convinzioni a priori sulla funzione delle aree motorie, abbiamo scoperto che molti neuroni del sistema motorio rispondono a stimoli visivi. Se vedo una persona che afferra una bottiglia colgo subito il suo gesto perché è già neurologicamente programmata in me la maniera in cui afferrarla. Si verifica una comprensione istantanea dell’altro, senza bisogno di mettere in gioco processi cognitivi superiori. In seguito abbiamo visto che la stessa cosa capita per le emozioni. Per esempio il disgusto. Somministrando a una persona uno stimolo olfattivo sgradevole, come l’odore delle uova marce, si attivano determinate parti del cervello. Una di queste è l’insula, un’area corticale che interviene negli stati emozionali. La sorpresa è stata che, se uno guarda qualcuno disgustato, si attiva in lui esattamente la stessa zona dell’insula. Questo permette di uscire da un concetto mentalistico e freddo, riportando tutto al corpo. Io ti capisco perché sei simile a me. C’è un legame intimo, naturale e profondo tra gli esseri umani. Ama il tuo prossimo come te stesso».
In teoria, se provo amore, finirò per passarlo all’oggetto del mio amore.
«È la speranza di ogni innamorato, e in parte succede: inseguo, faccio la corte e a volte sono ricambiato. Questo comunque non è il mio campo… Ma senza arrivare all’amore, pensi al sorriso. La reazione a una domanda posta da una persona in maniera gentile e sorridente è completamente diversa da quella ottenuta da chi fa la stessa domanda in modo brusco. Il sorriso passa all’altro, come il riso. Certi comici fanno ridere solo per la qualità della loro risata. Pensi inoltre allo sbadiglio. Si attacca non solo a chi lo guarda, ma anche a chi ascolta una storia in cui viene evocato. Se leggo a mio nipote la frase: il cane sbadigliò, anche il bambino sbadiglia. Basta pronunciare la parola in un contesto narrativo».
Amor che a nullo amato amar perdona quindi?
«Sì. I sentimenti sono contagiosi. Però sappiamo che l’amore è qualcosa di molto complesso, in cui intervengono fattori sociali e culturali… Altrimenti tutto sarebbe troppo automatico. Di sicuro la natura ha creato una società “comunista”, non nella suddivisione dei beni, ma nella condivisione delle emozioni. Si tende a stare insieme. C’è la necessità di farlo, anche se certe società , come quella attuale, spingono verso l’individualismo e insegnano l’egoismo».
Esiste, sul versante neurologico, una distinzione tra innamoramento e amore? Attrazione passionale e sentimento profondo?
«L’attrazione sessuale è spiegata per lo più da meccanismi ormonali… Ma posso raccontarle che una scienziata svizzero-americana, Stéphanie Ortigue, ha messo a punto un test comportamentale per vedere se una ragazza è veramente innamorata. Tramite questo test ha esaminato l’effetto di determinate parole gradevoli. Poi, tra di esse, ha inserito il nome del fidanzato o del marito, mettiamo “Paolo”. In alcuni casi il nome della persona presunta cara produceva lo stesso effetto delle parole gradevoli, e in altri casi nulla. L’interpretazione dei dati è ovvia».
Immaginate le conseguenze sociali della vostra scoperta? Su famiglia, scuola, aziende…?
«Una grande banca nazionale ha mandato poco tempo fa qui da noi a Parma due dottoresse, chiedendo aiuto sul modo in cui migliorare i rapporti negli uffici lavorando su base scientifica. Purtroppo spesso il capoufficio non pensa che, avendo un rapporto empatico con gli altri, li farà lavorare meglio. Viceversa crede di poter avere risultati migliori con il “terrore”, ottenendo invece l’effetto opposto. Comunque, in generale, non ci siamo occupati molto delle applicazioni pratiche della scoperta dei neuroni specchio. Dovrebbero essere i sociologi a puntare su quest’aspetto per migliorare l’empatia. Abbiamo però compiuto esperimenti su quel che producono, a livello neuronale, le opere d’arte, prendendo delle statue greche e deformandole appena: neurologicamente non provocavano più lo stesso esito. L’arte attiva l’insula, la regione delle emozioni, e potrebbe quindi essere un mezzo per ingentilire il nostro comportamento».
L’amore, in quanto emozione, è contenuto nell’insula?
«No: sta più in basso. L’insula è un po’ il punto di contatto tra il mondo cognitivo e quello emozionale più primitivo. Antonio Damasio sostiene che le emozioni di base sono già codificate nel tronco dell’encefalo, cioè in una struttura molto arcaica, che abbiamo in comune addirittura con i rettili. Il che significa che la parte emotiva viene prima delle altre, nello sviluppo di una specie di io: l’io primario non pensa, ma reagisce e si emoziona».
Parlando di neuroni specchio viene a mente Narciso, innamorato di se stesso…
«Il narcisismo va nel senso opposto dei neuroni specchio, essendo l’io, per il narcisista, l’oggetto del proprio amore, e non il prossimo. In termini clinici è una forma di nevrosi in cui il malato ha empatia zero verso gli altri. Il narcisista “clinico” non dovrebbe rispondere alle emozioni altrui. È una cosa che vorremmo verificare su individui affetti da forme di narcisismo ma con diagnosi psichiatrica precisa…».
C’è una differenza neurologica tra i vari tipi di amore? Per esempio tra quello materno e quello sessuale?
«È evidente che si tratta di due amori diversi. Tuttavia esiste un ormone, l’ossitocina, che gioca un ruolo importante in entrambi. Serve sia all’attaccamento alla prole sia al partner. Una delle teorie che spiegano il motivo per cui la nostra specie, a differenza di altre, è sessualmente sempre attiva, è questa: grazie alla secrezione di ormoni connessi all’atto sessuale, si crea un legame duraturo con il partner, necessario per accudire in due la prole. Il piccolo dell’uomo ha bisogno di cure per anni. Poi arriveranno il rapporto intellettuale, la condivisione di esperienze, l’abitudine… Ovviamente parlo di tutto ciò a livello elementare. Le sfumature sono infinite. Un altro dato interessante su cui soffermarsi sono le reazioni connesse direttamente a meccanismi ormonali. Il neurofisiologo inglese David Perrett ha fatto scegliere ad alcune donne facce maschili in vari momenti del ciclo mestruale, giungendo alla conclusione che, quando non è fertile, la donna preferisce l’uomo dall’aspetto macho e passionale, mentre nel momento della fertilità opta per il tipo raccomandabile, dalla fisionomia tranquilla e protettiva».
Si “specchiano” di più i neuroni femminili o i maschili?
«Decisamente i primi. Il veder soffrire un altro determina molto più dolore nella donna che nel maschio».
Nella prospettiva dei neuroni specchio, vivere insieme dovrebbe far diventare due individui sempre più simili tra loro.
«Non a caso il cane e il suo padrone camminano nello stesso modo… E nelle coppie, quando si creano affinità , si finisce per somigliarsi. Quelle affini sono probabilmente le più felici».
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