Negoziati di pace con le Farc

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Le voci, i «rumores», circolavano da mesi. Due giorni fa se ne è avuta la conferma ufficiale, prima in una nota diffusa da Telesur, l’emittente che trasmette da Caracas, a firma del giornalista colombiano Jorge Enrique Botero; poi più tardi dallo stesso presidente della Colombia Juan Manuel Santos che è andato in tv per un breve annuncio: lunedì scorso all’Avana emissari del governo colombiano e delle Farc hanno firmato un accordo per avviare un dialogo di pace. In televisione Santos ha confermato che «i contatti ci sono stati» sulla base di tre principi: «Primo, abbiamo imparato dagli errori del passato per non ripeterli» (riferimento esplicito ai negoziati di pace avviati dal presidente conservatore Andrés Pastrana nel ’98 e le Farc con relativa smilitarizzazione dell’area di San Vicente del Caguà¡n, che finirono in un fiasco completo all’inizio del 2002); «secondo, qualsiasi processo deve portare alla fine del conflitto; terzo, le operazioni e la presenza militare continueranno su ogni centimetro del territorio nazionale».
Le Farc, la guerriglia più antica dell’America latina, e l’altro movimento armato, l’Eln, che si vuole coinvolgere nel processo di pace, non hanno ancora risposto. Ma sia l’uno che l’altro, attraverso i loro leader – Rodrigo Londoà±o-Timochenko e Nicolà¡s Rodrà­guez-Gabino – in questi mesi si sono detti disponibili alla ricerca di una soluzione negoziata dell’infinita «guerra civile strisciante» che attanaglia la Colombia.
Secondo «fonti attendibili» citate da Botero, il prossimo appuntamento dovrebbe essere a Oslo, Norvegia, il 5 ottobre dove si instaurerà  un «tavolo negoziale» vero e proprio per poi tornare, nel caso di avanzamento e successo della trattativa, all’Avana «con l’obiettivo di non alzarsi fino a quando non sia stato firmato un accordo di pace che ponga fine a più di 50 anni di conflitto». Stando alla ricostruzione del giornalista colombiano di Telesur, il processo ha «cominciato a cucinarsi in gran segreto» nel maggio scorso all’Avana, «accompagnato» dai governi di Cuba, Venezuela e Norvegia. Per conto delle Farc c’erano il comandante guerrigliero Mauricio-el Medico e altri due dirigenti del gruppo guerrigliero, Marcos Calarcà¡ e Andrés Paris, più Rodrigo Granda, il «ministro degli esteri» delle Farc, liberato su richiesta dell’ex-presidente francese Sarkozy nei negoziati per la liberazione di Ingrid Betancourt. Per il governo Santos l’attuale consigliere per la sicurezza Sergio Jaramillo, il ministro dell’ambiente Frank Pearl, il giornalista Enrique Santos Calderon, fratello del presidente della repubblica.
Sarà  la volta buona? E’ cambiata la Colombia dagli anni ’80-’90 quando 3000 esponenti della Unià³n patrià³tica che avevano abbandonato la via militare e scelto quella politica furono sterminati nella più completa impunità ? Il passato consiglia prudenza, ma l’avvio (e il contesto) anche un moderato ottimismo. La notizia sembra aver sollevato un eccessivo entusiasmo di molti in Colombia, lo scetticismo di alcuni e la rabbiosa reazione di altri: in primis l’ex-presidente àlvaro Uribe e i suoi accoliti (molti dei quali peraltro in galera).
Un sondaggio pubblicato giovedì scorso rivela che il 74% dei colombiani interpellati appoggia il dialogo con le Farc. Così gli imprenditori, la chiesa, la «società  civile», il procuratore generale. In giugno Santos ha fatto approvare dal Congresso una legge che deve facilitare il processo di reinserzione alla vita sociale e anche politica dei guerriglieri una volta smobilitati. E fu il leader delle Farc Alfonso Cano, ucciso nel 2011, a ricordare a Santos che nel suo discorso di insediamento al palazzo presidenziale di Narià±o a Bogotà¡ nell’agosto 2010, «aveva promesso di lasciarsi alle spalle gli odii che avevano caratterizzato gli 8 anni del governo precedente». Gli 8 anni di Uribe, con Santos zelante ministro della difesa.
Ma, bisogna riconoscerlo, pur essendo l’incarnazione della destra più rancida, il suo approccio al problema dei problemi colombiani è stato diverso. Tanto da portare alla rottura clamorosa fra la destra di Santos e la destra di Uribe. Uribe, che bolla il suo ex delfino come «un traditore» e non gli risponde neanche più al telefono, non ha perso tempo e ha bocciato il dialogo di pace, che porterà  solo «i generali in galera e i guerriglieri in parlamento» e servirà  a «legittimare» Hugo Chà¡vez, il presidente venezuelano suo mortale nemico.
Non è che Santos sia diventato meno di destra. Solo che si è reso conto che la guerra di sterminio lanciata da Uribe contro le Farc, nonostante i colpi durissimi inferti, non è riuscita – né riuscirebbe – a decretarne la fine. Così come la guerriglia ha dovuto prendere atto che, dopo più di mezzo secolo di resistenza, arrivare alla «rivoluzione socialista» e alla conquista del palazzo di Narià±o, il palazzo d’inverno in salsa colombiana, non è più un obiettivo realistico. E’ così, da questa impasse (che di per sé è già  un successo delle Farc) che è nata l’iniziativa di dialogo e di pace. Non sarà  facile, ma è l’unica.


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