Mosca, due anni alle Pussy Riot Stati Uniti e Ue contro la sentenza

by Sergio Segio | 18 Agosto 2012 14:07

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MOSCA. LE PUSSY Riot incassano con apparente tranquillità  la sentenza che le condanna a ventiquattro mesi di carcere. Nadezhda, 22 anni, è la più piccola ma è lei il capo e si vede: incoraggia le altre due, le invita a non cedere, ricorda che poteva andare peggio. Lancia sguardi protettivi al marito Piotr che invece dall’altra parte della gabbia di vetro degli imputati, sembra colpito a morte. Come i genitori di Ekaterina (24 anni) che si riportano indietro un mazzo di fiori comprato in strada in un raro momento di ottimismo. O l’azzimato padre di Marja (29), vestito come a una serata di gala, che si tuffa sugli avvocati difensori chiedendo freneticamente di date e articoli per un ricorso in appello «da fare subito, mi raccomando!». Aula grande del tribunale Kamonichevskij, la stessa del processo all’oligarca ribelle Khodorkovskij. La giudice Marina Syrova si beve un bicchiere d’acqua dopo quasi tre ore di estenuante lettura di una sentenza che conferma il suo “score” personale: 178 condanne su 179 processi a carico di dissidenti. Le tre ragazze sono ritenute colpevoli di «teppismo e istigazione religiosa » per aver cantato sull’altare della cattedrale del Cristo Salvatore una canzoncina che diceva «Oh Madonna, liberaci da Putin». La polizia le aveva scacciate come si fa con dei bambini rumorosi. Il Patriarca in persona aveva invece chiesto una «punizione esemplare per il sacrilegio», scatenando una indagine a tappeto che finirà  solo quando sarò rintracciata la quarta ragazza ancora sfuggita all’arresto. Salvo poi, a sentenza pronunciata, emanare un breve e accorato appello ai giudici per un «atto di misericordia ». Atto dovuto come quello del portavoce del Cremlino che spiega come «non si commentino le decisioni autonome dei giudici» e che ignora la valanga di proteste internazionali dalla Casa Bianca, alla Ue, alle stelle della musica che con in testa Madonna, Sting, Paul McCartney si erano battuti per le Pussy Riot. Tutte storie che suonano lontane e senza senso in quest’aula trasandata e spoglia dove quindici giganteschi poliziotti in nero fissano le ragazze ammanettate in una modernissima gabbia a prova di proiettile circondata da pareti scrostate, mezze bottiglie di plastica usate come vasi da fiori, un vago odore di zuppa di cavolo che arriva da qualche stanza più in basso. Fuori lo schieramento surreale delle giornate nere dell’opposizione. La strada del tribunale bloccata al traffico sin dall’alba. Camion carichi di truppe speciali. Mano ferma e sorriso di sfida davanti ai gruppi di tifosi delle Pussy Riot. Vietato intonare cori, vietatissimo indossare cappucci colorati, pericoloso provare a forzare il blocco. Finiscono in manette facce note della protesta come Sergej Udaltsov. Ma anche personaggi più cauti e moderati come Garry Kasparov, ex campione mondiale di scacchi. Lo vediamo trascinato per terra e cacciato a forza dentro un cellulare che sembra un pullmino da gita scolastica. L’uomo che ha teorizzato come battere la freddezza del compu-ter, perde la testa, urla, si dimena. In quattro lo spingono all’interno dove assurde tendine a fiori coprono la visuale. Si sentono colpi, gemiti,un pestaggio a porte chiuse. Ed è solo l’inizio. I poliziotti sono già  in guardia. Stamattina hanno dovuto togliere cappucci colorati dalle teste delle statue più famose di Mosca: quella di Pushkin sull’Arbat, quella di Marx davanti al teatro Bolshoj, quelle dei partigiani sovietici nella omonima stazione della Metropolitana. «Avremo mille casi di ragazzi incappucciati pronti a cantare canzonette in pubblico», ammette un agente. E la dichiarazione di guerra la pronuncia proprio Piotr, il marito di Nadezhda, quando esce dal tribunale: «È evidente che questo paese si cambia solo con le rivoluzioni. E questo dobbiamo fare». Con le ultime leggi anti dissenso basta e avanza per un arresto immediato. Gli agenti guardano la folla, poi fanno finta di niente. Piotr cambia tono. Parla di Ghera, la figlia di 4 anni che disegna fantasiosi progetti per far evadere mamma. Si indigna quando gli dicono che sua moglie ha avuto un’offerta da Playboy Ucraina. Si compiace quando gli confermano che Nadezhda è diventata un simbolo della lotta al governo russo. «Me l’hanno fatta vedere solo una volta in sei mesi di carcere. E’ stanca ma è forte. Adesso lasciateci pensare cosa fare. Ma qualcosa faremo, vedrete ». E si allontana sotto lo sguardo attento di un agente con casco e manganello.

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