Lombardo si dimette ma resta: sarò presidente per l’«ordinario»
PALERMO — Si dimette ma non se ne va Raffaele Lombardo, il secondo governatore della Sicilia costretto a mollare e a far chiudere con un anno di anticipo la legislatura di Palazzo dei Normanni perché sotto processo per mafia. Resta in carica per l’ordinaria amministrazione fino al voto di fine ottobre e, nonostante abbia nominato l’assessore-magistrato Massimo Russo suo vice, delude chi sperava di non vederlo troppo in questa estiva e incerta campagna elettorale: «Farò un passo indietro, ma sono poche le cose che non potrò fare. Per la rappresentanza, c’è Russo. Ma per tante materie, anche come titolare di ordinanze commissariali per i rifiuti e altre emergenze, ci sarò io».
Si consuma così l’epilogo di una crisi che aveva provocato perfino una inusuale attenzione legata al «rischio default» con lettera firmata dal premier Monti per una conferma sulla annunciata scadenza del 31 luglio. Arrivata ieri sera con la conferma che i siciliani rieleggeranno forse il 28 e il 29 ottobre i 90 deputati di un’Assemblea che, dopo tante chiacchiere sulla spending rewiew, non ha ridotto i seggi a 70 e ha chiuso la legislatura nel peggiore dei modi. Senza trovare 40 milioni per un bilancio che lascia con tasche e casse vuote precari e aziende, settori vitali come i trasporti marittimi e urbani, le isole minori senza dissalatori.
Resta la coda delle nomine in extremis che rafforza il pianeta Lombardo, capace di stupire fino all’ultimo con l’arruolamento di due assessori per Autonomie locali e Energia, Nicola Vernuccio e Claudio Torrisi. Ma ha posto l’accento sulla sua vicenda giudiziaria nei 22 minuti di addio il governatore, definendo il processo «un’aggressione criminale mediatica contro la Sicilia. Da cittadino semplice, libero dal peso di una carica così impegnativa, sempre nel rispetto della magistratura, avrò il diritto di far conoscere ai siciliani le particolarità di una indagine mai compiuta perché, nel caso che lo fosse stata, avrebbe potuto mettere in discussione una sentenza già emessa e ampiamente pubblicizzata».
Un richiamo esplicito al titolo boomerang di un giornale che due anni fa annunciò il suo arresto mai avvenuto, seppure dentro Lombardo fosse finito due volte negli anni Novanta, ma con due assoluzioni e un risarcimento di 33 mila euro. Così, si considera anche bersaglio di un attacco all’autonomia siciliana da lui difesa: «C’è un centralismo imperante che viene imposto alla Sicilia con discredito delle autonomie locali». Di qui un richiamo allo Statuto: «Ma se continuano a dirci che siamo brutti, sporchi e cattivi, che spendiamo male, che siamo un peso, che ci stiamo a fare insieme in Italia? Tanto vale che ci si separi consensualmente».
Il quadro che lascia è però segnato da una Assemblea che si ferma a un assestamento tecnico di bilancio, mentre sparisce la spending rewiew, a cominciare dalle norme sulla riduzione dei dipendenti regionali. C’era un disegno di legge con direttive fotocopia di quelle approvate a Roma per gli statali, ma è rinviato il taglio del 25 per cento dei dirigenti e del 20 per cento della popolosa truppa. Senza rimpianti da parte delle organizzazioni sindacali che si sono viste graziare dall’annunciato taglio del 90 per cento dei permessi sindacali. Un finale da basso impero in cui è stato rispolverato perfino un disegno di legge per l’ennesimo condono edilizio non respinto con una sberla, ma accolto dal governo «come raccomandazione».
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