«L’isola è una polveriera»

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«Dai minatori all’Alcoa, al popolo della partite Iva, ormai l’esasperazione delle persone è al massimo. E tutto questo non potrà  non avere conseguenze»«Era nell’aria, vista la situazione di tensione, era nell’aria che accadesse una protesta come quella di Nuraxi Figus». Ingegnere minerario e presidente della provincia di Carbonia-Iglesias, Salvatore Cherchi conosce bene la realtà  della Carbosulcis, la miniera occupata dai suoi minatori e l’esasperazione che c’è dietro quel gesto. «Un’incertezza che dura da anni, insieme alla totale mancanza di prospettive», spiega. 
Qual è il problema?
Quando si parla di miniere si pensa sempre a qualcosa di vecchio, di ormai superato. Non è così. In questo caso abbiamo a che fare con la modernità , perché il progetto che permetterebbe di salvare la miniera ha come elemento trainante la realizzazione di una centrale di produzione di energia elettrica a emissioni zero. Significa che oltre a catturare, come avviene nelle centrali avanzate, polvere e anidride solforosa, si cattura l’anidride carbonica. Quindi è una centrale a effetto serra zero. 
L’estrazione di carbone continuerebbe?
Sì e il carbone estratto verrebbe utilizzato in una centrale con le caratteristiche descritte. Paradossalmente si parte da un attività  tradizionale, come quella mineraria, per fare qualcosa che è fortemente innovativo. Perché se è vero che in futuro le energie rinnovabili dovranno avere uno spazio sempre maggiore, è anche vero che si stima che nel 2050 almeno il 30% dell’energia elettrica nel mondo sarà  ancora prodotta dal carbone. E bisognerà  imparare a usare le fonti fossili in modo ecologicamente compatibile. I minatori chiedono di fare come è stato fatto in altri bacini minerari europei, per esempio in Spagna o in Germania, dove la contrazione drastica dell’attività  estrattiva è stata in parte compensata con investimenti in modi nuovi di produrre energia. 
Diceva che la situazione si trascina da anni. Di chi sono le responsabilità ?
Essenzialmente dei ministri delle attività  produttive del centrodestra che a suo tempo, nella trattativa con l’Unione europea, sono stati veramente poco accorti. Tant’è che al momento il via libera dell’Ue su questo progetto ancora non c’è. La stessa regione Sardegna, responsabile del bando internazionale, per due volte ha dovuto chiedere una proroga perché non si era preparata per questa scadenza.
Il progetto di riqualificazione dovrebbe costare un miliardo e mezzo di euro. Non è poco.
In realtà  si fa affidamento sulla tariffa incentivata, come per le energie rinnovabili. Proprio come ci sono gli incentivi per la produzione di energia elettrica dal vento e dal fotovoltaico. A pagare non sarebbe lo Stato visto che gli incentivi vengono pagati in bolletta.
Euroallumina, Alcoa, Portovesme, Carbosulcis: quante sono le realtà  industriali a rischio in Sardegna?
Se vogliamo restare al Sulcis sono quelle che ha elencato lei. Se poi allarghiamo l’orizzonte all’intera isola, la deindustrializzazione ha colpito pesantemente tutta la chimica, esclusa la raffinazione, da Assemini a Ottana a Porto Torres. Anche l’intero comparto tessile è stato praticamente cancellato tra Macomer, Siniscola e ancora una volta Ottana. Gli ultimi comparti che resistono sono la metallurgia e la raffinazione di San Rocco, dopo di che non resta praticamente nulla.
C’è il rischio che manifestazioni come quella della Carbosulcis si moltiplichino?
Il maggior elemento di tensione nel territorio, a parte la Carbonsulcis, è Alcoa. Non dimentichiamolo perché si tratta di un’autentica polveriera. Se malauguratamente si desse corso alla fermata dell’impianto la situazione diventerebbe esplosiva. Da sola Alcoa vale 1.500 posti di lavoro tra diretti e indiretti. C’è poi il popolo delle partite Iva che è in profondo subbuglio perché la piccolissima impresa ha avuto colpi pesantissima. Cito solo un numero: la caduta d’acquisto di beni strumentali di impresa – un computer o una macchina qualsiasi – è stata del 72%, che sta a significare una situazione di totale sfiducia verso il futuro da parte di questi piccoli imprenditori. Se la Sardegna è retrocessa all’ultimo posto come reddito procapite in Italia, e quattro anni fa non era così, c’è da un lato una ragione, ma tutto questo non può restare senza conseguenze.


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