L’ipoteca del commissariamento pesa su partiti ed elezioni

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È già  quasi tutto scritto, di sicuro è già  tutto pronto. I leader della «strana maggioranza» sono stati allertati e sono consapevoli che il premier è prossimo al passo, che il governo si prepara a chiedere «assistenza», che la Bce è pronta a fornirla, garantendo così l’abbassamento dello spread che sta mettendo in ginocchio il Paese. Non è il picco di ieri — di nuovo oltre i 500 punti — che l’Italia non riesce a reggere, è la quotidiana permanenza oltre «quota 400» che toglie il fiato. Le bombole d’ossigeno sono disponibili ma — come prescrivono le regole — Monti dovrà  prima sottoscrivere il «memorandum of understanding», che equivale al commissariamento dell’economia e della politica.
I partiti che reggono il governo immaginano che l’Italia accederà  al programma «dopo la Spagna». Da giorni non nutrivano illusioni sull’esito del vertice all’Eurotower, «anche perché — dice il responsabile economico del Pd, Fassina — le aspettative erano infondate. E la tesi che Draghi sia stato sconfitto è falsa, è figlia di una lettura distorta delle parole che aveva in precedenza pronunciato. La verità  è che, in assenza di scelte politiche, la Bce non può muoversi oltre le regole. Così il “programma” è condizione necessaria per ottenere gli aiuti».
Se Monti si è sempre rifiutato di chiederli c’è più di un motivo, che in questi mesi ha spiegato ai suoi interlocutori: il primo è che finora gli aiuti non hanno aiutato nessuno; il secondo è che il Paese sarebbe esposto al rischio delle incursioni di quanti vorrebbero dividersi le spoglie industriali e finanziarie italiane; il terzo — quello più delicato — è che il commissariamento porrebbe limiti al libero gioco democratico.
Di più. I partiti della «strana maggioranza» temono che la partita possa venire addirittura falsata, perché alla competizione elettorale si presenterebbero con le mani legate dagli impegni assunti per «salvare il Paese», e sarebbero esposti alle scorribande delle forze antisistema e antieuropeiste. È un pericolo di cui si deve far carico l’Unione prima di esporre l’Italia al rischio. Non a caso Monti, il più fedele custode dell’europeismo, ha vestito ieri i panni del più fiero censore per l’inerzia e la scarsa solidarietà  dei partner, «a partire dalla Germania», come ha sottolineato Casini.
Il due agosto è stato vissuto nel Palazzo come la vigilia di una resa, mentre si attende il negoziato per gli aiuti, che viene considerato il tornante decisivo. Le richieste che saranno avanzate al governo produrranno infatti conseguenze sul piano politico, influiranno sui prossimi scenari fino al punto da determinarli. Basteranno, per esempio, le riforme varate finora o ne serviranno altre più radicali? E come e quando Pdl, Pd e Udc sarebbero capaci di votare i nuovi provvedimenti? Prima o dopo essere passati per il responso delle urne? E che senso avrebbe una campagna elettorale con programmi ridotti a carta straccia?
Nonostante Bersani ostenti tranquillità , nel suo stesso gruppo dirigente cresce il timore che gli impegni futuri possano «costringere» anche dopo il voto al governo di larghe intese, a quella Grande coalizione che il leader del Pd vuole evitare: «È tempo che si torni alla politica», ha ripetuto ieri dopo l’incontro con il segretario del Psoe.
I timori dei democratici diventano un auspicio per i centristi. Anche perché si ritiene che al «memorandum» possa venir posto un preambolo non scritto, una sorta di «ulteriore garanzia» sulle cambiali italiane, l’idea cioè che si possa accedere alla richiesta di Roma solo se chi firma il «programma» si assume poi l’impegno di portarlo a compimento. Si tratterebbe di uno stato di necessità  che provocherebbe però una terribile compressione del sistema democratico. Sarebbe la conseguenza del commissariamento e in Europa esistono già  dei precedenti…
Nel Pdl Berlusconi ha imposto il surplace al suo partito, in attesa che passi la nottata, che passato agosto e le eventuali incursioni speculative, si chiarisca la situazione. In questi giorni il Cavaliere si è confrontato con Alfano, che vede il pericolo dello stallo, le difficoltà  di andare avanti nella legislatura e al tempo stesso le difficoltà  di accorciarla.
Sono troppe oggi le incognite per poterle valutare. Di sicuro, come spiega Martino, il Paese si trova ora di fronte a un bivio. Un’uscita «politica» dalla fase tecnica sarebbe — a suo modo di vedere — «preferibile». Ma l’ipoteca che l’Italia sta per firmare rivoluziona il quadro. E allora l’opzione del «Monti dopo Monti va tenuta in considerazione — dice l’ex ministro — a patto di varare le vere riforme, che non sono l’Imu. Serve una riforma degli enti locali, a partire dalle Regioni, per evitare scempi come quello siciliano. Serve una riforma del fisco che nel 2010 ha garantito alle casse dello Stato la miseria del 20% del Pil. Serve la riforma del Servizio sanitario nazionale e della Pubblica amministrazione…». L’ipoteca costerà  molto di più.


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