La sceklta radicale di Romney

by Editore | 24 Agosto 2012 8:55

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Quattromila poliziotti in tenuta mimetica sono già  mobilitati a Tampa, Florida, per tenere a bada i cortei — Occupy Wall Street in testa — che cercheranno di disturbare la convention repubblicana da lunedì. Un ospite inatteso potrebbe imporgli una nuova missione: arriva l’uragano tropicale Isaac. Nello scenario più catastrofico può costringere le forze dell’ordine a gestire l’evacuazione forzata di una parte dei 350.000 abitanti di Tampa, a cui si aggiungeranno 70.000 fra delegati, manifestanti, giornalisti. Mitt Romney è un leader mormone e il suo vice Paul Ryan un cattolico integralista: vedranno in Isaac un segnale ultraterreno? Più prosaicamente, l’uragano in arrivo con le possibili inondazioni e blackout è la perfetta metafora di un altro caos. Una turbolenza tutta politica e interna alla destra, da alcuni giorni disturba i preparativi della kermesse per l’incoronazione del candidato alla Casa Bianca.
All’appuntamento della convention, Romney sarebbe dovuto arrivare con un tranquillo e maestoso vento in poppa. Dopotutto, i numeri dell’economia sono pessimi per Barack Obama. Dal dopoguerra nessun presidente uscente è stato rieletto per un secondo mandato con un tasso di disoccupazione così elevato: 8,3%, per un totale di quasi 13 milioni di senza lavoro. A torto o a ragione, gli elettori “attribuiscono” al presidente una
responsabilità  elevata per lo stato dell’economia. Su questo i sondaggi sono implacabili: nell’ultima rilevazione effettuata da Nbc e Wall Street Journal, i due terzi degli intervistati vedono l’America «sulla strada sbagliata» e meno della metà  promuove Obama per il suo governo dell’economia. Tuttavia lo stesso sondaggio mostra un Romney incredibilmente in affanno. La ragione? Più della metà  degli elettori lo considera «distante dai problemi dell’americano medio». Si capisce perché: straricco, membro dell’establishment della finanza, abituato fin dalla nascita a vivere in un ambiente privilegiato. Si poteva dire la stessa cosa di George W. Bush, che tuttavia sapeva mascherare abilmente le sue origini comportandosi come un bonaccione, “l’amico della porta accanto”, quello che t’invita al barbecue nel suo giardino e a vedere la partita di baseball. Romney è totalmente incapace di fingere un contatto umano con la middle class, quando ci prova risulta goffo, impacciato, “di plastica”. I direttori del sondaggio, i due esperti bipartisan Peter Hart e Bill McIntruff, riassumono così: «Per Obama il problema è l’economia, per Romney il problema è l’empatia». Leggi: la totale mancanza di feeling con il popolo che deve votarlo.
A Tampa dunque il partito repubblicano avrebbe dovuto arrivare con un messaggio unico, martellato a oltranza: jobs, jobs, jobs (posti di lavoro). E invece nelle settimane precedenti il grande evento, la destra ha divagato, imboccando tutt’altre strade. La scelta di Ryan come vice ha attirato l’attenzione sulle sue proposte “rivoluzionarie”, più radicali del neoliberismo di Ronald Reagan. La più controversa: modificare radicalmente l’assistenza sanitaria agli anziani, cioè l’unico sistema sanitario pubblico di stampo europeo e l’unico che funziona decentemente (Medicare), sostituendovi dei “voucher” per comprare polizze private. Questa prospettiva spaventa la maggioranza degli anziani, può favorire Obama proprio in Florida, il paradiso dei pensionati, nonché uno Stato-
chiave per la corsa alla Casa Bianca. L’altra distrazione l’ha fornita un candidato senatore, Todd Akin del Missouri, un beniamino del Tea Party che si è esercitato sul tema del “legittimo stupro”. Smentite e scuse non sono bastate a cancellare lo scandalo. La sortita di Akin danneggia Romney due volte. Primo, perché ricorda all’opinione pubblica moderata e soprattutto alle donne quanto sia radicale la battaglia anti-abortista di questa destra. Secondo: all’interno del partito repubblicano la vicenda sortisce l’effetto inverso, cioè ricorda alla
base ultrà  del Tea Party e degli evangelici quanto Romney sia stato moderato in passato, tollerante e progressista sull’aborto quando era governatore del Massachusetts. Nella definizione della destra radicale, Romney è sempre stato un “flip-flop”, un opportunista che ha cambiato più volte le sue posizioni sui temi valoriali qualificanti.
Le divagazioni fuori tema della destra non finiscono qui. Spostando l’attenzione sui temi etici, i repubblicani hanno preparato un programma elettorale furiosamente anti-gay, proprio quando
la maggioranza dell’opinione pubblica e la stragrande maggioranza dei giovani sono favorevoli alla parità  dei diritti. La difesa della “famiglia tradizionale” mal si addice a una nazione dove ormai — sono dati dell’ultimo censimento — un ragazzo su due al compimento del 18esimo anno sarà  cresciuto in una famiglia con un genitore solo.
Romney non si accontenta più di attaccare l’assistenzialismo di “stile europeo” (che in America è un bersaglio defunto, fu smantellato da Reagan e da Bill Clinton); non gli basta accusare Obama di
«trascinare gli Stati Uniti verso una bancarotta di tipo greco o italiano ». Vi aggiunge pure una polemica contro «i parassiti del Welfare », dalle tinte chiaramente razziste: a destra tutti sanno che quella definizione è una parafrasi per indicare gli afroamericani. Il progetto di smantellamento finale del Welfare, insieme con le posizioni intransigenti sugli immigrati clandestini, indebolisce ulteriormente i consensi di Romney tra le minoranze etniche. Ancora una volta la Florida può risultare fatale. L’elezione del presidente si basa sui collegi, ogni
Stato Usa assegna il suo pacchetto di voti al candidato vincente nel suo territorio. Perciò le percentuali nazionali non sono quelle decisive. Tutto si giocherà  in alcuni Stati-chiave, quelli che sono in bilico e di volta in volta possono votare a destra o a sinistra per minuscole percentuali di spostamento. Alla fine tutto si deciderà  probabilmente in sei di questi Stati: Florida, Ohio, Pennsylvania, Colorado, Virginia e Wisconsin. Fra loro la Florida rappresenta il pacchetto di voti più importante, 29. Ne ha guadagnati due rispetto al 2008, perché la sua popolazione
è cresciuta del 18% nell’ultimo censimento. La causa: l’immigrazione ispanica. E gli ispanici finora sono schierati con Obama, a larghissima maggioranza. La convention repubblicana inseguirà  le loro simpatie assegnando un ruolo da star a Marco Rubio, il giovane senatore di destra eletto proprio in Florida, di origini cubane. Ma una settimana dopo, la convention democratica (a Charlotte, North Carolina) farà  sfoggio di una star ispanica ben più sexy: Eva Longoria, attrice molto popolare, nonché businesswoman e generosa mecenate
di cause filantropiche.
Nelle ultime ore Romney ha tentato di ri-calibrare la sua campagna. A un comizio nell’Iowa, ha smesso di parlare di Medicare o di Welfare, ha evitato accuratamente l’aborto e l’immigrazione. In un’intervista alla
Foxha
detto che non confermerà  Bernanke, il presidente della Federal Reserve, perché non condivide le «sue idee economiche». È tornato sul “suo” terreno. «Abbiamo avuto quattro anni di un presidente che ha accumulato un deficit da un miliardo di dollari — ha detto nella città  industriale di Bettendorf — è immorale lasciare questo onere alla prossima generazione». Stufo di essere dipinto dai democratici come un finanziere-avvoltoio arricchitosi con le delocalizzazioni e licenziando migliaia di lavoratori, esasperato dalle polemiche sui suoi conti offshore alle Caimane e sulle sue tasse (appena il 13,9% su un reddito multimilionario, grazie al trattamento favorevole delle plusvalenze finanziarie), Romney ha difeso la sua biografia da imprenditore: «Non è lo Stato che ha costruito il mio business, mi sono fatto da solo». Non è del tutto così: suo padre era già  un Paperone, al vertice dell’industria automobilistica. Ma il successo negli affari non è necessariamente un handicap tra gli elettori americani. Tanto più se la solidarietà  degli altri ricchi è così generosa: in un solo mese, Romney ha raccolto altri 62 milioni di donazioni elettorali, allargando a dismisura il suo vantaggio su Obama. Venga pure l’uragano a turbare la convention, la campagna vera sta solo cominciando. Quest’autunno, col tesoro di guerra che Romney ha accumulato nei suoi forzieri, negli spot tv potrà  dispiegare l’artiglieria pesante.

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