LA RICERCA DELL’ASSOLUTO CHE CHIAMIAMO “PASSIONE”

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“Assomiglia a una coppia di pigiami o al salame dove non c’è da bere? Per l’odore può ricordare i lama o avrà  un profumo consolante?”, si chiedeva Auden in
La verità , vi prego, sull’amore. Cercando di rispondere a questo interrogativo, Maria Bettetini in Quattro modi dell’amore (Laterza) disseziona l’amicizia, la passione, la distruzione, l’inganno attraverso quasi duecento testi, intessuti un po’ come gli Stromata (i tappeti) di Clemente Alessandrino, per render conto del come la cultura occidentale ha dato forma a quel non ovvio rapporto tra le persone che è l’amore. Con una escursione cronologica che va dall’antichità  (l’autrice è classicista di formazione) sino al contemporaneo anche pop si disegna una storia e una geografia che passa da Lo specchio della carità  di Aelredo di Rielvaux a I giochi e gli uomini
di Roger Caillois, dall’Enciclopediadi Hegel al Principe di Machiavelli, dall’Iliade a Le tigri di Mompracem.
Il primo dato che emerge è proprio di tipo geografico. Come emerge con chiarezza da queste pagine dotte e ben scritte, l’amore costituisce, insieme, l’elemento più naturale che ci sia negli esseri umani (perché alla sua origine remota c’è il mandato della continuazione della specie) e quanto di più intensamente culturalizzato si riesca a immaginare. Lo “spirito europeo” di cui parlava Husserl, e che permeava, oltre al vecchio continente, anche l’America e “i Dominion inglesi”, è anche uno spirito che dà  una veste altamente stilizzata alle storie d’amore, come già  suggeriva Paul Veyne in La poesia, l’amore, l’occidente.
Sino a non molto tempo fa sarebbe apparso a dir poco problematico trasporre gli schemi dell’amore hollywoodiano e proustiano fra gli aborigeni australiani o nell’Africa sub-sahariana, e il fatto che, con la globalizzazione, la trasposizione diventi possibile, dimostra quanto contino gli schemi culturali in un legame umano che è una specie di letteratura tradotta in pratica (è nato prima l’amore o la letteratura? Ecco una domanda circolare a cui è difficile rispondere).
Ma c’è un secondo aspetto rilevante, ed è per l’appunto quello storico. L’amore si evolve, questo è banale. Ma ciò che, a mio parere, non è banale, è che questa evoluzione non va (come dovrebbe secondo i principi della filosofia della storia di Hegel) verso una maggiore trasparenza e razionalità  ma, proprio al contrario, verso la ricerca di un assoluto antirazionale.
Il Simposio di Platone è un miracolo di compostezza rispetto alle festicciole dei libertini di Sade, ma questi ultimi sono dei mostri di razionalità  rispetto a Werther. Il quale però, uccidendosi per la donna amata, è ancora relativamente sensato in confronto a Madame Bovary, che si uccide per dei fantasmi letterari, e a Swann che, nella
Recherche, si confessa “Tutta questa sofferenza, tutto questo dolore, li ho vissuti per una donna che non era nemmeno il mio tipo”.
Ora, c’è un punto su cui vorrei portare l’attenzione, e che non riguarda l’amore, ma il mondo in cui viviamo, l’ontologia della nostra attualità . Una delle credenze più infondate del nostro tempo è quella secondo cui viviamo in un mondo razionalizzato e secolarizzato, in una gabbia d’acciaio senza assoluti. Non credo che sia così. Se Bauman, citato conclusivamente da Bettetini, parla di amore liquido, di una società  disinvestita e disintensificata, mi chiedo se la verità  non sia l’esatto opposto.
Più che in qualunque altra epoca precedente, abbiamo a che fare con un imperativo passionale (non necessariamente autentico o sincero, ma il punto non è questo), in cui l’amore è visto come l’attuazione di un assoluto da perseguirsi a qualsiasi costo, come qualcosa per cui vale la pena di rinunciare a tutto. Che ad esempio, con una vicenda degna di Fitzgerald, un re d’Inghilterra abbia potuto rinunciare al trono per sposare una divorziata è qualcosa di strettamente inconcepibile ai tempi (apparentemente così romantici) delle dame, dei menestrelli e dell’amor cortese. Alla faccia della “gabbia d’acciaio” di cui saremmo prigionieri.


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