La moderna polis in continuità  con il passato

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Con molto merito, Legambiente inaugura una propria collana editoriale dedicata ai «Maestri dell’ecologismo italiano». E lo fa nella nella maniera più forte e simbolicamente significativa con la monografia Antonio Cederna. Una vita per la città , il paesaggio, la bellezza (Morciano di Romagna, pp. 168, euro 8) realizzata da Francesco Erbani. Iniziare da Cederna per ricostruire i profili dei grandi protagonisti dell’ambientalismo italiano significa infatti cogliere l’aspetto originario e più specificamente italiano di questo variegato movimento che segna la seconda metà  del Novecento. E al tempo stesso consente di dare a questo archeologo diventato giornalista il posto che gli spetta nella fondazione di tale tradizione di cultura e di lotta politica. Si potrebbe dire, infatti, che una figura come quella di Cederna non poteva nascere che in Italia. Come negli Stati Uniti l’ambientalismo non poteva emergere se non come difesa della wilderness, dei paesaggi naturali incontaminati messi a rischio dall’urbanesimo e dallo sviluppo industriale, da noi non poteva sorgere che dalla tutela delle città . In Italia – tardivamente industrializzata – a essere minacciata per prima è stata la specificità  della nostra storia: le città , il paesaggio costruito dagli uomini, la bellezza monumentale. Dunque, non a caso, la battaglia culturale, politica e civile di Cederna si concentra su questo nucleo profondamente radicato nella specificità  della nostra storia. Una frattura urbanistica La monografia di Erbani si legge d’un fiato, sia per la chiarezza narrativa e la qualità  letteraria della sua scrittura, sia per le vicende che narra, dove i fatti biografici del protagonista e le sue battaglie giornalistiche – spesso approfonditi con riscontri sulle carte dell’Archivio di Cederna – sono elementi di un conflitto incessante che trascina qualunque lettore. D’altra parte, la ricostruzione biografica non cede mai all’apologia ed è anzi occasione per fornire al lettore un profilo storico equanime del protagonista, da cui Cederna emerge giustamente ingrandito e sottratto alle piccolezze delle polemiche del suo tempo. Uno dei punti centrali della riflessione e del giudizio di Erbani su l suo autore riguarda la sua nozione di modernità  in ambito urbanistico. Come già  aveva fatto nell’introduzione ai Vandali in casa, Erbani smonta sin dalle fondamenta l’accusa di «passatismo» mossa a Cederna, da tanta stampa anche progressista. Egli mostra il raffinatissimo e avanzatissimo concetto di modernità  che l’archeologo-giornalista ha elaborato e vuol far valere. Le parole di Cederna, infatti, non lasciano dubbi. «L’architettura moderna è figlia della rivoluzione industriale che ha portato alla scoperta di materiali nuovi e rivoluzionari, quali il ferro, l’ acciaio, il cemento armato: la costruzione a scheletro che ne è derivata(…) ha cambiato in cent’anni l’essenza dell’architettura». Una frattura profonda con tutta l’architettura del passato e logiche di sviluppo urbano del tutto nuove, che devono tener conto della società  di massa e dei problemi di mobilità  del nostro tempo. Cederna, dunque, non rifiuta la città  che nasce dallo sviluppo industriale, anche se vorrebbe che la sua espansione ubbidisse all’interesse generale e non agli appetiti privati della rendita fondiaria. Ma vede la nettissima la diversità  e a un tempo «la complementarietà » tra la città  storica, che va tutelata, e quella nuova, che ubbidisce a logiche specifiche di sviluppo. E sopratutto – e questa è forse la sua più profonda riflessione storica – egli vede un tratto peculiare della nostra modernità  esattamente nell’ambizione di conservare il passato, di farne memoria e testimonianza di altre epoche e culture, ma come parte integrante e vivente del nostro presente. A differenza di tutte le epoche del passato, nelle quali facilmente i manufatti di fasi storiche precedenti erano abbattuti per riutilizzarne i meteriali e gli spazi, nel nostro tempo, la maturità  culturale specifica che abbiamo conseguito ci porta a un atteggiamento di cura dei lasciti che ereditiamo. Vogliamo continuare a dialogare con il nostro passato, specchiarci, ammirati, nella sua diversità . E qui sta un nucleo di civiltà  di cui occorre essere storicamente consapevoli. Coerentemente con tale posizione, ricorda Erbani, Cederna ha dato un contributo rigoroso alla nozione di centro storico. Una idea di città , nata in Italia e che rappresenta forse l’elaborazione più originale dell’urbanistica nazionale nella seconda metà  del Novecento. Per centro storico Cederna non intende semplicemente le architetture di pregio, le chiese, gli edifici nobiliari, le piazze, considerati come reperti isolati. Un concezione povera e «museale» che, per esempio, ha autorizzato gli «sventramenti» del ventennio fascista. Ma, ben più ampiamente, la nozione di centro storico comprende anche i manufatti di scarso valore architettonico, la rete viaria, gli slarghi, gli scorci, i materiali degli edifici, ecc. Vale a dire esso rappresenta il tessuto urbano in tutte le sue giunture e nella sua integrità  . Oggi è questa visione «totale» dei centri storici a consentire una loro difesa contro i tentativi di manipolazione e di sfiguramento messi in atto dagli sviluppisti, contro i vandali vecchi e nuovi che vedono, per esempio, il centro storico nel Palazzo Ducale a Venezia e non anche nell’integrità  del suo skyline, oppure nel Colosseo a Roma, e non anche nei suoi dintorni non monumentali.


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