LA MANO DI PAVESE SU “SPOON RIVER”

by Editore | 27 Agosto 2012 10:59

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La novità  più rilevante della ventinovesima edizione del Premio Cesare Pavese di Santo Stefano Belbo, conclusasi ieri con qualche delusione per l’assenza (per ragioni di famiglia) di Alessandro Baricco, uno dei vincitori, si chiama Cesare Pavese. O meglio: Pavese e la traduzione che la giovanissima Fernanda Pivano, futura traduttrice di Hemingway, di Faulkner e degli artefici della beat generation, fece dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, pubblicata da Einaudi nel 1943. La raccolta del poeta americano (1869-1950), risalente al 1915 e destinata a diventare uno dei libri di culto in tutto il mondo, ispirata dagli epitaffi dell’Antologia
Palatina, raccontava le storie di uomini e donne di un paese del Midwest rievocati dalle loro lapidi del cimitero tra virtù e bassezze, infelicità  dei giusti e impunità  del
potere. Una lunga popolarità , quella di Spoon River, che ancora negli anni Settanta è stata all’origine di uno dei dischi più belli di Fabrizio De André.
Adesso, per la prima volta, sulla base di una documentazione inequivocabile, conservata nel fondo Pivano della Fondazione Benetton di Milano, è emerso come lo scrittore piemontese, che s’era innamorato della sua allieva e l’aveva spinta a tradurre Lee Masters, abbia dato un contributo fondamentale alla versione dall’inglese di un’antologia che lui stesso aveva pensato di volgere in italiano. Lo fece sia in termini di revisioni lessicali, sia nella stessa struttura del testo. Il libro uscì, ma con il solo nome della Pivano, grazie all’impegno profuso da Pavese, dirigente autorevole dell’Einaudi.
Il merito della scoperta dell’apporto pavesiano, intuito da qualche studioso ma finora mai dimostrato carte alla mano, spetta a un giovane. Si chiama Iuri Moscardi. Si è laureato alla Statale di Milano con una tesi intitolata, per l’appunto, Cesare Pavese e la traduzione di “Spoon River” di Fernanda Pivano, e discussa con i professori Edoardo Esposito, relatore, e Martino Marazzi, correlatore. Il suo lavoro è stato premiato dalla giuria del Pavese, presieduta da Giovanna Romanelli, con una motivazione piuttosto chiara. Si tratta, intanto, di «una disamina attenta ed accurata, esaustiva e ampiamente articolata che, con cura filologica e con documenti inoppugnabili, evidenzia il ponderoso intervento di Pavese». Ed è un intervento, peraltro, «non solo su evidenti errori di lessico, ma anche sulla struttura e sulle scelte stilistiche tanto che davvero la traduzione può essere definita “frutto di un lavoro a quattro mani”».
Moscardi racconta di essersi imbattuto nel dattiloscritto dell’Antologia di Spoon River contenente «le correzioni manoscritte sia di Pivano che di Pavese al testo della traduzione delle poesie e della prefazione alla prima edizione italiana del 1943». Ciò lo ha invogliato a proseguire le indagini, fino a rendersi conto che Pavese «influì sul testo della prima traduzione poiché molte delle sue correzioni passarono a stampa». Eccone un esempio. Nel 1971 «Fabrizio De André trasse dalla raccolta il disco Non al denaro non all’amore né al cielo: l’unica canzone del disco che riprende il titolo della poesia da cui è tratta è Il suonatore Jones, che Pivano aveva tradotto “Jones lo strimpellatore” e che per mano di Pavese si è invece fissato nella forma poi seguita anche da De André». Conclude Moscardi: «Pivano fece la parte più grossa del lavoro, traducendo tutti i testi per conto suo; Pavese, che fin dagli anni ‘30 voleva farne un’edizione italiana, trovatoselo davanti lo portò ad Einaudi convincendolo a pubblicarlo e occupandosi della revisione ». La Pivano «usufruì perciò della sistemazione del testo fatta da Pavese, ma allo stesso tempo Pavese poté finalmente coronare il suo desiderio di vedere il libro tradotto».

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