La ginnastica filosofica raccontata da Seneca
Quel giorno Seneca si sentiva libero. A Roma c’era un incontro di sphaeromachia, e l’attrazione esercitata da questo tipo di pugilato era tale, che certamente nessuno sarebbe venuto a bussare alla sua porta, per fargli visita – cioè a dire per importunarlo. Ma il silenzio, rotto ogni tanto dalle grida dello stadio, oltre che il beneficio della tranquillità suscitò in Seneca anche qualche riflessione: «penso fra me e me» scriveva al suo Lucilio «in quanti esercitano il corpo, e quanto pochi invece si dedicano a esercitare l’animo; in quanti si precipitano per assistere a uno spettacolo illusorio, fasullo, e quanta solitudine attende invece coloro che si dedicano alle arti buone; e quanto deboli di animo sono, infine, coloro di cui ammiriamo braccia e spalle!». Il fatto è che a Seneca, se piaceva poco quello che oggi chiamiamo “sport”, ancor meno piacevano gli esercizi fisici, ovvero la cura ossessiva del proprio corpo. Ma come? qualcuno si chiederà , anche nella Roma imperiale si praticava il fitness? Non sotto questo nome, ovviamente, ma si praticava. È ancora Seneca che ce ne parla, peraltro in modo sempre poco lusinghiero: «Dedicarsi a esercitare le braccia, ad allargare le spalle e irrobustire i fianchi» scriveva in un’altra lettera «è cosa da stolti, oltre che poco conveniente a un uomo colto. Per quanto tu possa accrescere la tua corporatura e sviluppare i tuoi muscoli, non raggiungerai mai le forze o il peso di un bue da sacrificio. Aggiungi poi che l’animo si indebolisce sotto il peso di una massa corporea troppo grande, ed è meno agile. Dunque, per quanto puoi, limita lo spazio concesso al tuo corpo e lascialo invece all’animo. Eviterai così molti inconvenienti: in primo luogo gli esercizi, la cui fatica toglie il fiato e rende incapaci di concentrarsi in attività più complesse; poi c’è l’abbondanza di cibo, che ottunde la finezza dell’animo, e la frequentazione di schiavi malfamati che dovrai prendere come maestri: uomini che si occupano solo di olio e di vino, che diventano arbitri della tua giornata, se si è sudato bene, se si è bevuto abbastanza per compensare il liquido perduto, digiunando anzi, perché l’acqua penetri più a fondo. Ricordati che bere e digiunare è vita da gastritici». Ma allora, se dedicarsi a esercitare il corpo non solo è inutile, ma addirittura dannoso – tant’è vero che lo sportivo finisce per fare la stessa vita di un
cardiacus,
di un malato di stomaco – a che cosa si deve dedicare il proprio tempo? Seneca lo ha già detto, a esercitare le facoltà spirituali: che oltre tutto non richiedono neppure tutta la fatica e la cura che richiede il corpo. Per vivere meglio non c’è bisogno di faticare, di sudare o di bere, basta
volere.
E quel che occorre volere, in primo luogo, è non aver paura né della morte, né della povertà , praticando l’esercizio quotidiano della filosofia. Ecco in cosa consiste, scriveva ancora Seneca, la vera “salute”, non nello sviluppare i muscoli. A questo punto, ovviamente, sorge una domanda: ma davvero la filosofia è capace di condurci a tanto, a non temere né morte né miseria? Difficile dirlo. Sempre più di fitness e bicicletta, comunque.
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