La disabilità  nei “Sud del mondo”, tra pregiudizi e buone prassi da esportare

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ROMA – Quasi il 17% della popolazione anziana (over 60) in Africa ha una grave disabilità : un dato che è quasi il doppio rispetto a quello registrato nei paesi “ad alto reddito”, dove gli anziani con importanti disabilità  rappresentano l’8,5% della popolazione. E’ quanto emerge dal primo Rapporto mondiale sulla disabilità , pubblicato alcuni mesi fa e messo a punto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità  e dalla Banca mondiale. E’ proprio tra gli anziani che si presenta più aperta la forbice tra disabilità  nei Paesi a basso e ad alto reddito. Una forbice significativa anche per quanto riguarda le lievi disabilità , che nei Paesi più ricchi interessa il 36,8% degli over 60, mentre in Africa supera il 53%. Un altro dato che deve far riflettere riguarda l’accesso ai servizi: in Namibia, solo il delle persone disabili ha ricevuto la riabilitazione medica necessaria, mentre appena il 17% ha ottenuto ausili come sedie a rotelle, protesi, apparecchi acustici. La disabilità , quindi, abita nei paesi poveri più di che in quelli ricchi e lì, come è facile immaginare, incontra tutte le difficoltà  che derivano da condizioni igieniche, sanitarie e strutturali spesso ancora inadeguate. Sarebbe quindi facile concludere che nei paesi poveri le condizioni delle persone disabili siano peggiori che nei paesi ricchi. Se però è vero, da un lato, che i paesi ricchi dispongono di attrezzature più adeguate, strumentazioni tecnologiche spesso all’avanguardia, oltre che si un maggior numero strutture e professionisti, è vero anche che, dal punto di vista socio-culturale, dal “Sud del mondo” arrivano esperienze e testimonianze che, proprio sulla disabilità , hanno molto da insegnare. Se soprattutto nei piccoli villaggi e nelle zone rurali è ancora possibile incontrare cultura che stigmatizzano la disabilità  come una maledizione, magari frutto di stregoneria, d’altra parte esistono culture e popolazioni che per la cecità , per esempio, hanno un rispetto quasi sacro. Allo stesso modo, questa volta sopratutto nelle grandi città  e nei centri più sviluppati, esistono associazioni di disabili molto attive, che hanno dato vita a modelli come quello della “riabilitazione comunitaria”, a realtà  organizzate come l’associazione maliana dei ciechi, ad esperienze innovative come quella di St Martin. Sono queste realtà  al centro dell’inchiesta pubblicata sul numero 6 della rivista “SuperAbile”: Nyahururu e l’esperienza di St. Martin; Ada Nardin e i viaggi in Mali, per offrire opportunità  a chi, come lei, ha una disabilità  visiva; e poi, ancora, le attività  dell’Iapb e dell’Ovci. Esperienze diverse, regioni del mondo distanti, accomunate però da quello che, a tutti gli effetti, si può considerare una buona prassi da esportare: la riabilitazione su base comunitaria. (cl) © Copyright Redattore Sociale


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