La coscienza dell’Ilva

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C’è più coscienza dei problemi in ballo. Dopo trent’anni i danni alla salute sono evidenti. Migliaia di morti e di ammalati: Enichem, Marghera, Farmoplant, Casale Monferrato e l’amianto…Ma la brutta storia dell’Ilva, rimossa e trascinata per decenni, dimostra con esemplare evidenza la scomparsa politica della classe operaia e la pochezza dei partiti che dovrebbero rappresentarla: si mobilita la società  civile, intervengono i magistrati. Le radici dell’attuale squilibrio sono lontane, negli anni Cinquanta-Sessanta, e non riguardano soltanto l’Ilva. Sono gli anni dello Sviluppo: industrializzazione, autostrade, grandi opere. Benessere materiale per contadini migranti e nuovi ceti medi mentre inizia il saccheggio dell’Italia. Fabbriche tirate su nelle città  e in luoghi naturali splendidi, uliveti spiantati nella piana di Gioia Tauro, piantagioni di bergamotto distrutte sullo Ionio per costruire cattedrali nel deserto, un polo chimico accanto a Venezia, il sacco di Napoli e Palermo, l’epopea dell’auto e dell’autostrada del Sole, la prima delle altre mille che sfregiano il territorio. Un’idea di progresso poco adatta al Paese e una classe dirigente incapace di vedere vocazioni e alternative: il futuro dei computer, ad esempio, tecnologia innovativa di casa Olivetti, svenduta agli americani da Mediobanca. Il Partito comunista lottò per l’Italsider a Taranto seguendo la sua cultura industrialista, peraltro condivisa ampiamente. Gli effetti negativi più duri emergeranno col tempo ma la strategia della classe dirigente – partiti, banche e imprese – nonostante le evidenze non cambia, anzi peggiora. I grandi imprenditori non vogliono rischi, non hanno idee innovative e nemmeno cercano di conoscere gli interventi compiuti da tanti nel mondo, ad esempio la strategia di «emissioni zero» di Interface, compagnia Usa leader mondiale, operata dal suo creatore Ray Anderson, guadagnando (R. A., Confessions of a Radical Industrialist, 2009). I nostri ritengono le misure anti inquinamento un intralcio burocratico, un peso per la competitività  internazionale e non regole da osservare come accade da tempo in altri paesi europei e un dovere sociale verso i lavoratori e i cittadini, condannati alla malattia. La sinistra sviluppista non si distingue. Sì a Tav, inceneritori, cemento, strade, a migliaia di trivellazioni alla ricerca di gas e petrolio. Il ds Renato Soru che aveva innestato una politica della qualità  in Sardegna è stato boicottato anche dal suo stesso partito. Il sindacato continua a non capire come difendere l’occupazione in tempi di globalizzazione e disastri ambientali. Nessun progetto lungimirante. Uniche parole sensate quelle del segretario Fiom Maurizio Landini, sulla crisi dell’auto.


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