La cancelliera tra due fuochi così la svolta europeista di Angie rischia di rimanere incompiuta

by Editore | 2 Agosto 2012 9:08

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BERLINO â€” «Se esistesse ancora la Ddr, lei sarebbe stata capace di conquistare il posto di numero uno», dicono di lei i critici più maligni, nel suo partito. «Chi la sottovaluta, la ritiene solo una tatticista abile ma debole e vuole sfidarla ha già  perso il duello», ribatte Gerd Langguth, il suo biografo più autorevole. All’inizio della crisi dell’euro lei negava ogni concessione, passo per passo ha ceduto su questioni chiave. Più lenta rispetto alla crisi, per trascinarsi dietro i tedeschi. Adesso nella tempesta perfetta continua a difendere gli interessi di Berlino, ma si è avvicinata in modo decisivo a Draghi, Monti e Hollande. Fa ancora muro contro la licenza bancaria e quindi crediti illimitati per il nuovo fondo salva-Stati, l’Esm, sa di essere più debole di prima rispetto ai due Mario e all’Eliseo. Rischia forte su due fronti, mette in gioco la sua immagine internazionale quanto il suo potere a casa, come in una duplice roulette russa con gli elettori e gli alleati, lei cui fans e detrattori attribuiscono tanto istinto e voglia di potere. Rischia consapevole una “no win situation”: se il salvataggio dell’euro fallisce il resto d’Europa la vedrà  come prima colpevole, se costerà  troppo ai contribuenti federali la Germania le volterà  le spalle. Certo, parliamo di lei, Angela Merkel. Non è davvero invidiabile, la posizione della “donna più potente del mondo” temuta e spesso anche odiata tra la gente a sud delle Alpi e a ovest del Reno, ma vista non senza diffidenze e paure a casa.
Ancora una volta, lei l’apparente tatticista incerta di fino a ieri reagisce sfoderando carattere d’acciaio e coraggio di tentare svolte. Decisionista e amletica insieme, qui un sì e là  un no a Monti, chi sa quanta tensione si tiene dentro, celata da sorrisi di circostanza. Per due volte — venerdì e domenica — con i segnali lanciati ai telesummit con Hollande e Monti — ha imposto una doccia fredda agli elettori: supremazia Bundesbank un corno, la Bce è ind ipendente da tutti, anche da Jens Weidmann e dai suoi falchi, e per la salvezza dell’euro va fatto tutto il possibile. Segnali a distanza, dalle vacanze semplici in Alto Adige, poi per rassicurare a casa il no alla licenza bancaria per l’Esm. Tra gite e trekking con Reinhold Messer come guida, “Angie” cerca, probabilmente invano, di scacciare lo stress.
Tiene duro, o ci prova. La svolta non è totale, ma fa riflettere. Fino a ieri appariva temporeggiamento tattico, per poi cedere poco a poco a Parigi o Roma senza traumatizzare gli elettori. Ora non più: «sa dove vuole andare, non spera più nella Grecia, ma ritiene che se l’euro fallisce sarà  la catastrofe totale», dice di lei il professor Michael Stuermer, un duro ortodosso, ex consigliere di Kohl. «Sta cambiando e come fece Kohl mostra di non temere frizioni con la Bundesbank.
Quell’immagine di leader tiepida verso l’Europa se l’è scrollata di dosso, e sta imparando ad affrontare le spinte populiste », incalza Karl Lamers, un altro ex del team d e l cancelliere della riunificazione, ma leader del fronte delle colombe.
Conversione da patriota ad europeista, o adattamento allo Zeitgeist, uno spirito dei tempi che attorno alla “fanciulla dell’est”, con Hollande e Monti al posto di Sarkozy e Berlusconi, è cambiato come un nuovo vento? Forse nelle scelte dure di Angela Merkel in questi giorni c’è qualcosa di entrambi gli elementi. Abilità  tattica e ricerca di alleanze per restare leader si esprimono in modo nuovo. Audacia seminascosta, come quando studentessa nella Ddr rispettava il regime, ma a Mosca o Varsavia si procurava al nero dischi dei Beatles o pamphlets di Solidarnosc. Non è da ieri che mostra un carattere capace di svolte e strappi temerari. Come quando lei per prima nel partito denunciò il padre e mèntore Helmut Kohl per lo scandalo dei fondi neri. Quando, a una Cdu che tra i partiti fratelli in Europa ha quello di Orbà n, impose col “Programma di Berlino” una netta svolta a sinistra, mano tesa ai sindacati, ai migranti e alle coppie di fatto etero e gay. O quando — lei che credeva nel nucleare — dopo Fukushima, cogliendo la paura della gente, ha scelto di spegnere i reattori. Sorriso impassibile, arrivo puntuale alla prima del festival wagneriano di Bayreuth con l’abito scollato (ma vecchio di dieci anni, sul guardaroba si risparmia), Angie finora ha vinto, o superato le sconfitte, con questo understatement sempre all’attacco. Stress nei momenti difficili affrontato a sera con una rara sigaretta e un bicchiere di Sauvignon. A volte anche con humour. Se la intervisti e il registratore ti s’inceppa, lei sorride e cerca subito di riavviartelo. Se la incontri a un ricevimento a Washington con politici vip americani a braccetto e lei sa che scrivi per Repubblica, per spiegare agli ospiti chi sei dice sogghignando “tranquilli, è solo una spia di Berlusconi”. Guanto di velluto e mano d’acciaio. La mostrò in tanti summit europei, ma anche a Bush chiedendo la chiusura di Guantanamo, e a Putin denunciando la repressione. Ma questa volta la sfida di Angie è più difficile: non è una grande comuni-catrice, e ha fretta di spiegare al suo popolo che la solidarietà  con gli altri europei conviene anche alla Germania globale e forte, con una donna al comando. Potrebbe anche non riuscirci, e tornare rigida o perdere. Allora magari in mancanza di meglio qui rimpiangeremmo un po’ i suoi moniti, i suoi enigmatici sorrisi, persino i suoi “nein”.

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