John Cage oratore eretico

Loading

Durante gli anni cinquanta e sessanta, John Cage compose parecchie opere destinate ad oratori e speaker. Alla maggior parte di queste egli diede il nome di «conferenze». La sua felice e ininterrotta carriera di conferenziere cominciò in realtà  nel 1927, in una gara di retorica di cui risultò vincitore con un testo imbevuto di idee panamericane: Other People Think . Il testo, recitato nel contesto del Southern Oratorical, faceva parte di un impegno scolastico che vedeva il musicista statunitense rappresentare la Los Angeles High School. Nell’autunno del 1931, di ritorno dal suo primo viaggio in Europa (un vagabondaggio fertile che lo aveva portato dapprima a Capri e poi a Bà­skra, Maiorca, Madrid e Berlino), Cage tornò negli Stati uniti e raggiunse i genitori che nel frattempo si erano trasferiti a Pacific Palisades. Cage continuò per qualche tempo a suonare, scrivere poesie e dipingere, fino a che una catastrofe finanziaria costrinse la famiglia a trasferirsi di nuovo a Los Angeles e l’inquieto figliolo ad ingegnarsi in una serie di lavori occasionali, inclusi l’impiego come guardiano in un posteggio d’auto e l’inconsueta pratica di conferenziere per casalinghe. Conferenze a gettone, dai temi più vari: Cage passava dalla Micotica ad Arnold Shoenberg, dallo Zen al Trascendentalismo… Nel 1949, dopo aver ricevuto un premio dalla National Academy of Arts and Letters, un ulteriore scatto: Cage scrisse Lecture on Nothing e Lecture on Something (poi inserite nel volume Silence ). Lo statunitense ammise in seguito di aver usato, nello scrivere conferenze, metodi di composizione musicale. La prima delle due conferenze esprimeva il concetto della discussione come intrattenimento. La sua preparazione consisteva nell’applicazione di tecniche musicali alla scrittura-lettura come «tempo». Per il dibattito seguente la conferenza, Cage aveva preparato sei risposte negligenti la pertinenza tematica, ovvero risposte che non avevano nulla a che fare con le eventuali domande degli astanti. L’interesse di Cage per l’anticonformismo tipografico di Ezra Pound ed E.E.Cummings si rivelò, estrinsecamente, nella disposizione dei suoi scritti: sbalzi tematici violenti, spezzature e lunghezze delle linee, lunghissime citazioni. Ma il contatto più significativo di John Cage con la letteratura si celebrò in quel periodo attraverso Charles Olson, un intellettuale che vedeva l’arte come un processo naturale, non nel senso dell’ imitazione della natura, ma nel senso della naturalizzazione dell’arte. Olson fu direttore del Black Mountain College negli anni 1951-1956. Si trattò di anni estremamente formativi per Cage che, nell’ambito di quel campus, concepì insieme ad un gruppo di altri artisti, il primo Happening della storia del teatro americano. Charles Olson partecipò a questo esperimento, e sue poesie furono recitate dall’alto di alcune scale a pioli. Non sappiamo di altri rapporti fra i due artisti, comunque non si può non notare che anche nelle successive Juillard Lecture (1952) e Where are we going? and what are we doing? (1961), Cage solidarizzò con le opinioni di Olson sui vantaggi della dattiloscrittura fino a raggiungere momenti di somiglianza coi tratti personali tipici della sua poesia. L’utilizzazione delle risorse tipografiche, serviva a Cage a partecipare il pubblico dell’esperienza stessa, in un ascolto-lettura molto vicino al pensiero-scrittura. Per raggiungere questo obbiettivo l’autore, coinvolto in un universo quanto mai eterogeneo di attività , decise di applicare la convenzione metodica di una di queste attività  (specificatamente la musica) a tutte le altre, quindi anche alla scrittura. Se il rapporto fra musica e poesia è sempre stato facile e ovvio, quello fra musica e prosa lo è un po’ meno. Facendo largo uso di espedienti tipografici, come si può vedere in Two Statements on Ives (inserito nel volume di scritti A Year from Monday ), Cage collegava le sue frasi spontanee in sequenze che non erano effetto di casualità  ma di casualismo, in quanto ottenute grazie a procedimenti elaborati e meccanici. Nelle frammentazioni e collages della Juilliard Lecture , nelle spaziature delle colonne della Lecture on nothing e della Lecture on something veniva ricercata la libertà  del linguaggio quotidiano, al fine di sostituire l’artificiosa aderenza della lettura alla parola impaginata, con un’artificiosità  nuova che metteva in gioco anche i silenzi e le imperfezioni della lettura concreta. In Talk I il testo non era allineato o incolonnato, ma diffuso, sparpagliato nelle pagine. Questa conversazione-conferenza, improvvisata nel 1965, fu un raro esempio di diretta utilizzazione della tecnica del collage vagamente in solidarietà  con le esperienze di William Burroughs, dei pittori cubisti e degli assemblages dadaisti. John Cage si differenziava da questi riferimenti ispirativi perché quando utilizzava una citazione (da giornale o altro) voleva renderne rilevante il contenuto solo agli effetti di un’azione temporale. In tutti i libri di John Cage i vari articoli venivano disposti sì in sequenza cronologica, ma erano pure disponibili ad una lettura disordinata (come appunto avviene normalmente nella lettura dei giornali). Commentando Indeterminacy (una composizione realizzata seguendo il suggerimento di David Tudor di scrivere una conferenza fatta di barzellette), Cage spiegò che le varie storielle disposte «passim» in Silence e in A Year from Monday , svolgevano un ruolo identico a quello dei brandelli di piccole informazioni sistemati qua e là , a riempire i vuoti di colonna, nei piccoli giornali di provincia, e aggiunse che esse dovevano venir lette nella stessa situazione in cui si leggono i giornali, senza scopo, saltando di qua e di là  e rispondendo, nel tempo della lettura, agli stimoli ambientali, di cose, suoni ed eventi. E lo stesso schema teorico della sua opera più nota, 4’33 … Quando gli si domandò perché egli non elaborasse una conferenza tradizionale, informativa, Cage rispose: «Io non dò queste conferenze per sorprendere la gente, ma per bisogno di poesia». Dopodiché aggiunse: «La poesia non fa parte della prosa semplicemente perché quest’ultima, in un modo o nell’altro è formalizzata. Non si tratta di poesia in ragione del suo contenuto o della sua ambiguità , ma perché essa permette d’introdurre degli elementi musicali (misura, suono…) nel mondo delle parole».


Related Articles

Il contagio della piazza non tocca l’Italia

Loading

In Italia per adesso nessuna manifestazione anti-austerity come a Madrid e ad Atene

Stretta sul trattato Usa-Ue flash mob e proteste in 600 piazze del mondo

Loading

Riparte il negoziato sul Ttip, l’accordo di libero scambio Germania patria del fronte del no

Riflessione in Vaticano La possibile apertura a un codice dei diritti

Loading

Per le gerarchie ecclesiastiche non è tempo di barricate

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment