by Editore | 27 Agosto 2012 13:20
Con Rita Bernardini abbiamo trascorso due giorni sulla rotta Basilicata-Puglia per verificare le condizioni di vita della “comunità penitenziaria” nelle case circondariali di Potenza e Taranto.
Domenica 19 agosto, ore 12.10. Dopo aver tenuto una conferenza stampa all’ingresso della casa circondariale di Potenza, finalizzata a spiegare il senso e il significato di una richiesta di amnistia che non a caso abbiamo definito “amnistia per la Repubblica”, varchiamo il cancello ed entriamo in un carcere che visitiamo con regolarità da anni. Ad accoglierci, con un sorriso che contrasta con le condizioni di una struttura che presenta numerose “criticità ”, alcuni agenti di Polizia penitenziaria. Mentre ci avviamo nella stanza del comandate per firmare i moduli di rito, nei corridoi captiamo un commento pronunciato da un agente: “Solo questi ci possono salvare”. Sento e penso che dovremmo salvare noi stessi e questa Repubblica interrompendo la flagranza di reato in corso contro i diritti umani e la Costituzione.
Pochi minuti dopo, Rita è al telefono con il direttore, il dottor Ferrandina. Chiacchierando con gli agenti, apprendiamo di una soluzione molto italiana ai problemi di sovraffollamento. Sembrerebbe che la capienza regolamentare dell’istituto sia stata portata da 170 a 202 posti e la cosiddetta capienza tollerabile da 230 a 260. Viene in mente la lettera del prof. Andrea Pugiotto in cui si parla di “capienza costituzionale”. Il carcere di Potenza non è Poggioreale, ma in ogni caso il reparto penale – l’unico aperto – capienza regolamentare alla mano fa registrare comunque un sovraffollamento. Iniziamo la visita dalla prima sezione e dalla cella n.1: i metri quadrati a disposizione dei 4 detenuti presenti sono 18 e qualcuno lamenta il fatto che nel bagno in cella non ci sia acqua calda. Un altro detenuto ci racconta dei suoi cinque rigetti.
I detenuti stranieri presenti sono 16 su 114. Per tutti 4 ore d’aria e due ore di cosiddetta saletta.
Nella cella n.9, un detenuto ci racconta che per aver prestato soccorso alla madre ha perso i benefici degli arresti domiciliari. Il magistrato non gli ha contestato il reato di evasione. Procediamo entrando in ogni cella e ascoltando storie. Nella cella n.2, Oreste lamenta la distanza dalla famiglia e ci dice che ha 4 bambini e che finalmente tra 110 giorni uscirà . Nella stessa cella, M.R. oggetto di una precedente interrogazione di Rita ha finalmente avuto il trasferimento che aveva chiesto. Entriamo nella cella n.8 dove convivono 2 definitivi e 3 giudicabili; potrà apparire un paradosso, ma si respira una grande armonia e solidarietà . M.P. fa da piantone a un compagno di cella che ha problemi di salute. I detenuti presenti ci mostrano uno sgabello della cella adattato a forno.Saliamo al primo piano e non possiamo fare a meno di notare che dal finestrone dell’ala si intravede la Sider con i suoi fumi che appestano Potenza.
Nella cella n.15 incontriamo un detenuto trasferito da poco dal padiglione Napoli di Poggioreale: dovrà stare in carcere fino al 2018 e il suo sogno è quello di essere trasferito a Gorgona per poter lavorare; è arrivato da 15 giorni a Potenza e di certo, e con buona pace del Ministro Severino, non rimpiange Poggioreale e il padiglione Napoli. Ci racconta dei 45 minuti di visita della Ministra e poi aggiunge che “Poggioreale è un inferno”. Nella stessa cella incontriamo di nuovo M.L. che ci racconta di aver potuto vedere i nipotini solo in foto e che la sua richiesta di trasferimento è stata rigettata. Il detenuto che sogna di andare a Gorgona dice che a Potenza sta bene e che c’è rispetto reciproco tra agenti e detenuti, poi si fa scuro in volto e ci parla della morte di “Zio Gennaro”, stroncato a 45 anni da un infarto in quel di Poggioreale.
Su una porta del corridoio noto una locandina, c’è scritto “Cinestate”. Inevitabilmente lo sguardo cade su uno dei titoli in cartellone: “La ricerca della felicità ”. Gli agenti mi spiegano che sono riusciti ad organizzare un paio di mesi di cineforum. Con orgoglio mi fanno notare un’altra locandina: “Olimpiadi all’ombra”. Mi spiegano che l’area trattamentale di concerto con l’area sicurezza ha organizzato, nel periodo 6 luglio – 9 agosto, un torneo di calcetto a 8, un corso di basket e poi tornei di battimuro, morra cinese e sprint dei 10 metri(basato sulla lunghezza del passeggio).
Altra cella, la numero 15. Troviamo C.L. trasferito da Secondigliano, ci racconta che la moglie e la figlia soffrono di epilessia e che in 3 anni e mezzo ha potuto vederle solo 10 volte. C.L. vorrebbe tornare a Secondigliano e ha presentato domanda di trasferimento.
Le ore passano e Rita visita le celle una per volta fermandosi a parlare. Nella cella n.18, T.L. ci racconta che c’è un’azienda pronta ad offrirgli un lavoro e che la Direzione e il Sert hanno dato parere favorevole al trattamento esterno. M.G. è da dicembre a Potenza per un reato commesso nel 2002, dice che gli hanno dato l’art. 80 comma 2(possesso di ingenti quantitativi di Marjiuana). Nella cella si apre un dibattito sulla Fini-Giovanardi e sulle disobbedienze civili radicali. I detenuti tossicodipendenti sono 30 su 114.
Proseguiamo e come da copione, come ogni anno, come in ogni visita, nelle celle 21-22 e 23 il solito cesso a vista.
Continuiamo la nostra visita e nella cella n.3 sono intenti a cucinare zucchine e crostata. B.D., trasferito a Potenza con provenienza Poggioreale, si fa il segno della croce e con un sorriso a 32 denti dice: “Qua sto in paradiso”. Gli occhi sono quelli di chi ha visto l’inferno e non posso fare a meno di pensare al paradosso di chi può arrivare a definire paradiso una condizione di detenzione dopo aver vissuto in una delle carceri con il maggior indice di sovraffollamento e con una popolazione che è pari ad un piccolo comune della Basilicata.
Entriamo nella sala socialità e 17 detenuti in circolo ascoltano Rita che illustra lo stato dell’arte e parla della Fini-Giovanardi, della ex Cirielli. Mi metto in un angolo e ascolto. Accanto a me un detenuto che indossa una maglietta con la scritta Napoli a caratteri cubitali inizia a porre domande sull’interlocuzione di Pannella con il Presidente Napolitano: è informatissimo. Rita chiede della spesa ed esplode un dibattito sui prezzi. Si inizia a parlare del caffè Kimbo, quotatissimo per forza o per amore, e di batterie. Si scatena una discussione sul caro vita e sulla crisi.
Eccoci nella sala colloqui: il muretto è ancora lì. Certo, niente a che vedere con quella che a Taranto, con ironia, definiscono “pescheria”. Gli agenti ci informano dell’assenza di un servizio di prima accoglienza.
Ci guardiamo attorno e nel complesso la struttura è migliorata rispetto all’ultima visita e all’interrogazione presentata da Rita, ma permangono di certo alcune delle illegalità che abbiamo sottoposto all’attenzione della Procura della Repubblica di Potenza.
Lasciamo il reparto maschile e ci dirigiamo verso il femminile. Nella cella n.7 ci raccontano che l’intera sezione(17 detenute) ha aderito ai 4 giorni di iniziativa nonviolenta. Rita parla con le detenute e c’è chi lamenta il fatto che si possono fare poche docce. Nella cella n.1, R.C. è da due mesi in lista di attesa per un intervento chirurgico.
Sono le 17.30 circa e la visita volge al termine. Domani si va a Taranto che come Melfi è una delle famigerate “Carceri d’oro”. Nell’avviarmi verso l’uscita una volta di più penso al sorriso del detenuto che ha definito il carcere di Potenza un paradiso. Un paradiso con i cessi a vista, il muro di cinta che crolla, il muretto divisorio nella sala colloqui, la carenza di personale che dovrebbe occuparsi della rieducazione e del reinserimento sociale dei detenuti…
Sì, in questo paese stretto nella morsa di una illegalità sistemica, la piccola casa circondariale di Potenza appare un paradiso agli occhi di chi ha visto l’inferno.
Noi intanto continuiamo a snocciolare cifre e a raccontare di detenuti e agenti di Polizia penitenziaria che si suicidano, vittime silenziose e silenziate dell’assenza di legalità e Stato di diritto. Continuiamo a riferire – nell’attesa che il dibattito negato prima o poi possa esplodere – delle condanne ultra trentennali inflitteci dalla Corte di Giustizia europea, della irragionevole durata dei processi e di carceri indegne di un paese civile.
La prepotente urgenza, dov’è signor Presidente? Con l’intera comunità penitenziaria e con Pannella noi continuiamo a ripetere che occorre interrompere la flagranza di reato contro i diritti umani e la costituzione. La riforma strutturale per poter affrontare la bancarotta della giustizia e il suo putrido percolato carcerario si chiama amnistia e noi vorremmo poter raccontare al paese perché essa è “amnistia per la Repubblica”, per uno Stato che da troppo tempo veste i panni del delinquente professionale.
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