In piazza le opposizioni, il primo test per Morsy
«Mettiamo a processo i generali del Consiglio supremo delle Forze armate». È la provocazione dei giovani rivoluzionari che metteranno in scena un processo pubblico alle porte dei tribunali del Cairo e di Alessandria. La singolare manifestazione prevede le testimonianze dei familiari delle vittime delle rivolte del 2011-12, sindacalisti ed avvocati. «Anche Morsy (presidente egiziano, ndr), dovrà provare di non avere accordi con l’esercito, se vorrà essere ritenuto innocente» – si legge nel comunicato dei rivoluzionari. Proprio ieri, ci sono state varie e frammentate manifestazioni pro e contro il presidente egiziano. Gli assembramenti hanno interessato tutti i luoghi, scelti negli ultimi mesi dai sostenitori dell’esercito e dagli elettori dello sconfitto alle presidenziali, Ahmed Shafiq. I primi manifestanti si sono mossi nel pomeriggio da piazza Abbasseya, nel cuore della Cairo antica e sede del ministero della difesa. Tenevano tra le mani le foto dei militari uccisi al valico di Rafah. «I Fratelli musulmani sono dei bugiardi» – si leggeva su alcuni striscioni. I manifestanti hanno protestato contro l’occupazione sistematica delle istituzioni pubbliche da parte dei Fratelli musulmani. Morsy, nelle scorse settimane, aveva disposto un controverso avvicendamento ai vertici del Consiglio militare, che a partire dal 30 giugno scorso ha formalmente restituito i poteri al presidente eletto.
Ieri, tutte le strade che conducono al ministero della difesa sono state chiuse. Per giorni sono circolate voci di possibili attacchi a palazzi delle istituzioni e a sedi del partito dei Fratelli musulmani, Libertà e giustizia. La protesta anti-Morsy era stata convocata dall’ex parlamentare, Abou Hamed. Il politico aveva già chiesto lo scioglimento del movimento islamista dopo il decreto presidenziale che impugnava la decisione della Corte costituzionale sulla chiusura del parlamento. Si sono aggiunti, attivisti cristiani copti, liberali indipendenti e gruppi di giovani di Kifaya – movimento nato nel 2005 contro la rielezione di Mubarak. Ma la coalizione dei giovani rivoluzionari e il movimento 6 aprile si sono tenuti ben lontani dalle proteste. In realtà , sin dal giuramento degli inizi di luglio, le correnti interne ai movimenti giovanili sono apparse frammentate nell’appoggiare il nuovo presidente. «Chi si oppone a Morsy, deve sconfiggerlo alle elezioni» – ha dichiarato uno dei leader di 6 aprile, Ahmed Maher.
Tra i manifestanti, si contavano tante donne. «Non vogliamo che gli islamisti controllino tutte le istituzioni. Né che impongano censure alla libertà di espressione» – ha dichiarato la giovane attivista, Eman al-Weshahy. Proprio ieri, Morsy aveva emesso un decreto per vietare la detenzione preventiva di giornalisti. La disposizione aveva permesso la scarcerazione immediata del direttore del quotidiano liberale al-Dostour, Islam Afifi, accusato di diffondere «informazioni false». Anche i sostenitori dell’uomo del vecchio regime, Ahmed Shafiq, hanno fatto sentire la loro voce, riunendosi a Medinat Nassr, intorno al monumento che commemora Anwar al-Sadat. La lunga arteria che conduce alla periferia del Cairo è diventata la piazza degli anti-Morsy già negli otto giorni di incertezza sui risultati delle elezioni presidenziali, prima della vittoria islamista.
Dal canto loro, i sostenitori del presidente egiziano sono arrivati in piazza Tahrir da via Talaat Harb. Avevano occupato Tahrir per settimane chiedendo che Morsy avesse ogni «autorità ». E ora difendono il presidente. A tal punto che gli oppositori della Fratellanza sono stati scacciati dalla piazza. «Hanno tentato di disperdere la nostra manifestazione pacifica» – ha dichiarato l’organizzatore, Abou Hamed. Poco più avanti, diverbi sono degenerati in scontri. All’arrivo di attivisti del partito socialista Tagammu, è iniziata una sassaiola tra pro e anti Morsy che ha provocato sette feriti. Dopo la cancellazione della dichiarazione costituzionale aggiuntiva, le censure a giornalisti critici e le disposizioni del ministro del lavoro su controlli agli scioperi, la chiusura del parlamento dà ampi margini di manovra al nuovo presidente. E l’opposizione si frammenta.
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