Il tribunale commissaria l’Ilva “I Riva hanno inquinato per scelta ora servono misure imponenti”

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TARANTO — L’Ilva deve essere risanata. Subito. Lo devono fare i custodi nominati dal giudice, con i soldi dei Riva. E saranno i custodi a decidere tempi e modi delle attuazioni delle prescrizioni previste. Lo stabilimento per il momento rimarrà  aperto, gli operai resteranno in fabbrica. La chiusura è l’extrema ratio, da evitare a tutti i costi. Se l’Ilva rispetterà  alla lettera quello che viene indicato e richiesto, e se quindi si andrà  verso una veloce messa a norma, potrà  continuare a produrre. In caso contrario, dovrà  bloccarsi. Comunque vadano le cose, la famiglia Riva e il vecchio management dell’azienda dovrà  rimanere fuori dai giochi: in questi anni hanno inquinato, sapendo di inquinare. Hanno fatto ammalare i tarantini, per guadagnare di più. È questa la sintesi delle 124 pagine con cui il tribunale del Riesame di Taranto ha motivato ieri il sequestro senza facoltà  d’uso dello stabilimento siderurgico più grande di Europa. Un documento che inchioda alle proprie responsabilità  gli imprenditori, ma anche la politica. E nello stesso tempo consegna una speranza alle 13mila famiglie degli operai dello stabilimento. L’Ilva – scrivono i giudici Antonio Morelli (presidente), Rita Romano e Benedetto Ruberto – ha provocato in questi anni «una gravissima contaminazione ambientale tra i territori dei Comuni di Statte e Taranto». Una contaminazione che «ha creato una situazione di grave pericolo per la salute e la vita di un numero indeterminato di persone». Un morto ogni tre mesi, il 25 per cento di incremento per i tumori dei bambini, la gente che abita vicino allo stabilimento che si ammala e muore tre volte di più rispetto a quanto dovrebbe. Un avvelenamento continuo che si è «protratto per anni – si legge nelle motivazioni – nonostante le osservazioni e i rilievi mossi al riguardo dalle autorità  preposte alla salvaguardia dell’ambiente e della salute». RIVA CONSAPEVOLI Secondo il Riesame, la famiglia Riva era perfettamente a conoscenza di quello che accadeva. Da parte loro c’è stata una «costante e reiterata attività  inquinante posta in essere con coscienza e volontà , per la deliberata scelta della proprietà  e dei gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida dell’Ilva, i quali hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello specifico, dai provvedimenti autorizzativi». Secondo i giudici, alteravano anche le autocertificazioni e, mentre firmavano accordi con gli enti pubblici, incrementavano la produzione della diossina – come certificato dall’Arpa nel 2007 – dal 32 per cento del 2002 al 90 per cento del totale nazionale nel 2005». IL SEQUESTRO L’obiettivo principale per i giudici a questo punto è «impedire che questi reati siano portati a ulteriori conseguenze atteso che, come dimostrato, è in corso una massiva attività  emissiva di sostanze nocive. In particolare, dagli impianti delle seguenti aree: parchi, cokerie, agglomerato, altoforno, acciaieria e area grf». Come si fa? Lo stabilimento viene commissariato e messo nelle mani dei custodi giudiziali del giudice dei quali non fa più parte il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, esautorato da una ordinanza del gip sulla quale ora però si dovrà  esprimere di nuovo il Riesame. Saranno i custodi a stabilire cronoprogrammi e modalità  di interventi che l’Ilva, se collaborativa, dovrà  condividere e quindi finanziare. LA PRODUTTIVITà€ L’obiettivo dei custodi è quello di interrompere l’inquinamento. Ma dice il Riesame, contraddicendo il gip Todisco che aveva chiesto l’immediato spegnimento degli impianti, dovranno cercare di mantenere aperta comunque la fabbrica per garantire il lavoro dei dipendenti. «Non si tratta certo di operare compromessi fra il diritto al lavoro e i primari interessi alla vita, salute e integrità  ambientali – scrive il Riesame – quanto piuttosto individuare quelle soluzioni che, nel giungere alla cessazione delle emissioni inquinanti, consentano di pregiudicare il meno possibile gli ulteriori interessi in gioco». Come si può fare? «Non è compito del tribunale stabilire se e come occorra intervenire nel ciclo produttivo o, semplicemente, se occorra fermare gli impianti trattandosi di decisione che dovrà  necessariamente essere assunta sulla base delle risoluzioni tecniche dei custodi – si legge nell’ordinanza – Al momento lo spegnimento degli impianti rappresenta solo una delle scelte tecniche possibili (…) In nessuna parte della perizia si legge che l’unica strada perseguibile al fine di raggiungere la cessazione delle emissioni inquinanti, il solo obiettivo che il sequestro si prefigge, sia quello della chiusura dello stabilimento e della cessazione dell’attività  produttiva. Al contrario, si desume la possibilità  che l’impianto siderurgico possa funzionare ove siano attuate determinate misure tecniche che abbiano lo scopo di eliminare ogni situazione di pericolo (…) Il sequestro di un enorme e complesso stabilimento industriale quale il siderurgico di Taranto non è meramente tecnico e fine a sé stesso, visto che dalla sua soluzione discendono importanti ricadute concrete che vanno a intaccare contrapposti interessi, pure costituzionalmente rilevanti, quali quello della tutela dell’impresa produttiva e della tutela dell’occupazione di mano d’opera».


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