by Editore | 21 Agosto 2012 10:55
Dunque secondo lo studio l’agrodiesel a colza nel quadro della direttiva Ue sulle energie rinnovabili è da mettere in discussione.
La direttiva europea per l’energia rinnovabile approvata tre anni fa chiede che le emissioni di gas serra dalla produzione e dall’uso di agrocarburanti per i trasporti siano almeno del 35% (e del 50% dal 2017) più basse di quelle relative ai combustibili fossili.
I due ricercatori denunciano la mancanza di cooperazione da parte dell’Unione Europea, che insiste sulla promozione degli agrocarburanti made in Europe.
Le “bioenergie” – e fra queste la biomassa per la produzione di energia e gli agrocarburanti – secondo i piani europei dovrebbero arrivare a coprire il 50% dell’offerta di rinnovabili. Certo gli agrocarburanti sembrano la quadratura del cerchio: invece di promuovere od obbligare alla fuoriuscita dal settore del trasporto privato, si preferisce sostituire – in modo “indolore” per i consumatori finali – un iperconsumo di petrolio con un iperconsumo di carburante da vegetali coltivati. Italia, Francia e Germania sono fra i principali produttori di olio di colza e anche sedi delle principali case automobilistiche.
L’agrodiesel di importazione è anche peggio. Quello per la sola Europa si è già accaparrato il 7% della produzione mondiale di oli vegetali, con la relativa occupazione di terre e la concorrenza con la destinazione alimentare.
Più domanda, prezzi più elevati…Gli agrocarburanti sono ritenuti dalle agenzie delle Nazioni Unite uno dei fattori che spinge verso l’alto i prezzi delle derrate alimentari, esacerbando l’effetto della siccità negli Usa, quest’anno la più grave degli ultimi 50 anni. Gli Usa come l’Europa si sono posti obiettivi da raggiungere nel campo degli agrocarburanti e li hanno abbinati a generosi incentivi.
Ora il Congresso statunitense ha chiesto all’Agenzia per la protezione dell’ambiente di attenuare la normativa sull’etanolo che stabilisce che il 40% della produzione di mais statunitense sia convertito in biodiesel. Il Dipartimento Usa per l’agricoltura ha detto che i raccolti di mais saranno i più bassi da 17 anni, il che provocherà un aumento ulteriore dei prezzi del grano, sul quale si dirotterà anche la domanda di a fini mangimistici.
Anche José Graziano da Silva, direttore della Fao, ha chiesto agli Usa di frenare la conversione del mais in etanolo, mescolato con la benzina per rendere più “verde” il combustibile: c’è il timore di un’altra crisi mondiale come quella che nel 2008 provocò rivolte e scontri.
La Commissione Ue ammette che il suo obiettivo (il 10% di agrocarburanti sul totale del consumo del settore dei trasporti nel 2020) potrà far salire i prezzi mondiali delle derrate fra il 3 e il 6%. Ma Oxfam stima che anche solo l’1% di aumento provocherà altri sedici milioni di affamati. Nella regione del Sahel la combinazione fra raccolti scarsi (causa siccità estrema) e prezzi più alti degli alimenti (da acquistare) rende difficilissima la vita di milioni di persone.
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) è chiara: alla crescente domanda di agrocarburanti la risposta sarà in parte un aumento delle rese (possibile?) e in parte una “riduzione nel consumo alimentare”. Messa così, è: serbatoi contro pance umane. Tuttavia, c’è un terzo elemento: le pance degli animali da allevamento. La competizione è fra cibo per gli umani, cibo per le stalle, cibo per i motori.
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